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Marco Mazzieri vuole cambiare il baseball: “Più italiani in campo, Accademie Regionali e Serie A da riformare”

Si dice Marco Mazzieri, si racconta di oltre quarant’anni dell’Italia del baseball. Quasi una vita a giocare nella sua Grosseto, oltre 1000 partite nella massima serie, 73 presenze con l’Italia e, poi, un lungo cammino che lo ha portato a essere per 10 anni apprezzatissimo manager dell’Italia. Ora il suo nome è tornato in auge: è candidato alla presidenza della FIBS nell’ambito delle elezioni che si terranno il 16 novembre a Pieve di Cento (BO). Il suo punto di vista è molto ampio e chiaro, ed è ricco di spunti soprattutto in relazione al baseball, l’area nella quale indubbiamente l’Italia ha bisogno di un rilancio importante. In quest’intervista spiega con dovizia di particolari quanto è nelle sue intenzioni, in quello che è il frutto di una lunghissima esperienza da uomo di campo.

Nel libro “Mi chiamavano Maesutori”, Alessandro Maestri scrisse questi due paragrafi: “Dal 2018, anno del mio ritorno in patria, avevo visto troppo spesso i miei compagni di squadra fare grandissimi sacrifici per conciliare lavoro e allenamenti e partite, per poi venire messi a sedere alla prima occasione, per lasciare spazio a un giocatore straniero, considerato ingiustamente più forte. Questo era un tema che mi dava molto fastidio e che mi faceva pensare a quale fosse realmente l’obiettivo delle squadre. Quello di vincere? Vincere cosa? Un campionato? Un campionato dove ogni anno le persone in tribuna sono sempre meno, che continua a perdere interesse giorno dopo giorno?”. La Serie A sta avendo proprio problemi notevoli di pubblico e appeal. Quali soluzioni vorrebbe mettere in pratica per riuscire a ridarle una luce maggiore?

E’ chiaro che non abbiamo la bacchetta magica, questa è una fase molto critica dovuta anche a fattori oggettivi. Innanzitutto i nostri settori giovanili stanno soffrendo da un po’ di anni, ma c’è una considerazione importante da fare. Da 10 anni nascono il 25% di bambini in meno e nei prossimi 10 la proiezione è che ne nasca un altro 25% in meno. Quindi in un arco di 20 anni ci sono meno bambini che nascono con molti più sport che se li contendono. Questo è molto importante. Ora, è chiaro che a tutti piace parlare di Serie A, vorremmo tutti la possibilità di un campionato con 4 partite e tante persone sugli spalti, ma siamo in Italia. Io credo che in tutti questi anni abbiamo forse voluto giocare un po’ troppo a fare i general manager, comprare, scambiare giocatori da oltreoceano piuttosto che in Europa, e di questo sono andati a soffrire tutti i nostri giovani anche perché non sono stati adeguatamente preparati con l’allargamento dei campionati, quindi molti ragazzi che non erano pronti si sono trovati a giocare in Serie A. Bisogna partire da un po’ più lontano. Credo che dobbiamo tornare a dividere la Serie A, perché non abbiamo così tanti giocatori che in questo momento possano garantire un livello importante per quello che dovrebbe essere il campionato di vertice di un qualsiasi sport. Oltre a questo, dobbiamo rivedere le prerogative della regola AFI, che così com’è ci convince molto poco. Anche perché, se consideriamo AFI giocatori che nascono da un’altra parte e arrivano in Italia a 20 anni e visto che giocano qua hanno la qualifica di AFI, credo questo non possa andar bene. Un giocatore che arriva in Italia a vent’anni dovrebbe considerarsi già formato. La regola andrà rivista, perché se si parla di regola AFI per tutelare il patrimonio delle Nazionali, dove per direttiva di Sport e Salute s’intendono tutti quei giovani che sono stati formati nei vivai senza distinzioni di passaporto, un conto è arrivare qui a 15 anni ad allenarsi per tre anni e poi acquisire uno status di AFI e un altro è arrivare qui a 20 e stare qui fino ai 23 e sei considerato un atleta di formazione italiana. Questa è già una prima considerazione da fare. Così come se vogliamo giocare a un livello più alto dobbiamo cercare di raggruppare tutto quello che è il meglio del nostro patrimonio di giocatori nati e cresciuti in Italia perché è chiaro che averne così tanti in un campionato di vertice non è possibile, non ci sono. Non a caso credo che dobbiamo guardare quello che succede nei campionati dove il baseball è uno sport molto importante, e i livelli non esistono per caso. Ci sono step che devi fare se vuoi arrivare a giocare al massimo livello. Questo noi negli ultimi 4 anni lo abbiamo direttamente bypassato, non abbiamo pensato alla formazione, ma a fare un campionato a 30 squadre che forse è, dal mio punto di vista, un pochino esagerato“.

Lei, in fatto di formula di Serie A, fondamentalmente si è detto infastidito dal Consiglio Federale che ha anticipato di molto la strutturazione per la nuova stagione.

Più che infastidito, mi sembra una mancanza di rispetto per tutto il movimento. O il Presidente federale uscente è già convinto di essere stato rieletto e quindi si porta avanti con i lavori, o io non credo che aspettare fino al 17 novembre sarebbe stato un problema per la società. Il fatto di aver tirato fuori una formula di questo genere, dove da una parte si giocano tre partite da 7 inning con tre visti, da un’altra due da 9 con un visto, puoi metterle tutte insieme, ma le regole non sono tutte uguali, la vedo come una cosa poco vendibile da un certo punto di vista. Facciamo giocare squadre diverse con formule diverse con una struttura diversa di campionato. Non può essere il nostro campionato di vertice così strutturato. Io spero siano state contattate tutte le società, ma mi sembra che non lo siano state tutte, e questo è probabilmente dovuto anche alla richiesta di alcune società che magari potevano avere in qualche modo questo tipo di risorse, perché aver organizzato anche senza una verifica preventiva delle scelte di ogni società io in questa fase lo trovo un po’ fuori luogo“.

Lei ha avuto modo di interagire con le società. Che ambiente ha percepito al loro interno, tra quelle sia più che meno blasonate, circa il lavoro della Federazione?

Ho girato l’Italia in lungo e in largo da marzo in avanti. Mi sono mancate un paio di regioni dove non sono davvero riuscito ad andare, e dove non ci sono riuscito ho cercato di organizzare delle videocall. Noi, per scelta di questo gruppo del quale io faccio parte, ma ci sono tante altre persone molto qualificate e competenti che stanno facendo un lavoro incredibile, siamo andati in giro per capire quelle che erano le criticità e  problemi che tante società hanno avuto. Una volta verificato, con tanti giri, tutti i problemi, abbiamo tirato giù un programma. Parlando con le società che hanno partecipato ai nostri incontri, queste hanno espresso forti dubbi sulle problematiche che si sono affrontate nei vari territori. C’è da dire che non tutti i territori hanno i soliti problemi, ma un po’ tutti li hanno. Dal nostro punto di vista abbiamo sentito tanto malcontento, e devo dire, se mi è permesso, che non credo che il nostro movimento abbia bisogno di una piramide a Roma, come uno stadio, come si vocifera, che dovrebbe essere in costruzione, ma non lo è. Io e il mio gruppo pensiamo a tutte quelle società e quegli impianti che hanno bisogno di un aiuto, o anche solo di presenza da parte della Federazione, e ce ne sono veramente tanti. Noi vogliamo andare avanti e tutte queste persone che ci hanno dimostrato una passione incredibile e fatto vedere di portare avanti un’attività in mezzo a mille difficoltà ci hanno spinto su questa strada e fatto ancora di più impegnare in questo senso. Dobbiamo mettere tutti in condizione di poter fare un’attività in modo regolare piuttosto che avere uno stadio a Roma che non serve a rilanciare niente nel nostro movimento“.

Quando e com’è nata e come si è poi concretizzata l’idea della candidatura?

L’embrione di questo gruppo nasce a ottobre 2022. Avevamo avuto modo di parlare con più persone, ma erano solo scambi di opinione su quelle che erano le condizioni del nostro movimento sentendo anche quello che negli anni mi era capitato di sentire. Al World Baseball Classic del 2017 avevo deciso di interrompere il mio rapporto con la Federazione e mi sono voluto dedicare a creare un settore giovanile qui a Grosseto e a Castiglione della Pescaia con alcuni amici. Facendo settore giovanile, mi sono confrontato con delle problematiche che ovviamente non conoscevo e da qui, parlando con alcuni colleghi, abbiamo iniziato a pensare a che cos’avremmo potuto fare per cercare di migliorare questa situazione. Siamo andati avanti, e quando mi è stato chiesto da questo gruppo di persone se volevo candidarmi alla presidenza federale ho detto che mi sento uomo di campo e sono poco incline al compromesso. Il campo ti guarda in faccia, sul campo non si fanno promesse, devi fare i fatti, perché non puoi promettere di fare 4/4 in una partita piuttosto che fare 15 strikeout se sei un lanciatore. Ho detto che sono disposto a metterci la faccia, ma solo se intorno a me avrò delle persone di competenza e conoscenza ed esperienza di quelli che sono i nostri sport, perché chiunque sarà il Consigliere federale, per noi è un ruolo importante, che dev’essere a contatto con il territorio, capire dove sono le problematiche, cercare di intervenire quando possibile, spiegare le decisioni del Consiglio Federale che possono sembrare non giuste, ma credo che questo nella comunicazione non debba mai mancare: il rapporto continuo con le società che rappresentano il nostro movimento. Abbiamo iniziato a parlare di questo, ci siamo confrontati e dopo che sono andato in giro per l’Italia con il mio gruppo abbiamo capito che c’è veramente tanta passione, e questo ci spinge a portare avanti la nostra candidatura, perché non vogliamo veramente lasciare nessuno indietro, che sia una società di settore giovanile o una che va per la maggiore. Dobbiamo guardare a 360°, non possiamo certamente fare figli e figliastri in questo momento che è di grande difficoltà per tutti. Oltretutto una delle chiavi di volta di provare a risollevare qualcosa sia puntare non solo in termini di tempo, ma anche economici, sulla formazione di quelli che sono tutti gli attori del nostro movimenti. Non a caso fare il dirigente oggigiorno non è quello che era fino a qualche anno fa, ci sono sempre più adempimenti dal punto di vista amministrativo, comunicativo, di marketing eccetera. Dobbiamo assolutamente investire in questo, cercare di stare vicini alla società dal punto di vista dell’assistenza, di quello che è possibile fare con professionisti del settore che possano aiutare i nostri dirigenti, così come nella formazione dei nostri tecnici, secondo me fondamentale in un momento in cui i ragazzi che oggi giocano sono diversi da quelli di 10-20 anni fa e quindi il modo di insegnare dev’essere assolutamente diverso e adatto a questi tempi. Stiamo pensando alla formazione di tutte quelle che sono le parti in causa di questo movimento e vogliamo essere un partner delle società, non certamente l’ente che da sopra ti dice ‘fai così’ e tutti debbono obbedire“.

Lei in questo senso ha citato, in passato, il problema delle Accademie Regionali.

Il problema delle Accademie Regionali va sicuramente affrontato con calma. Va analizzato bene quello che è il costo-beneficio di ogni accademia, in questo momento il progetto dal mio punto di vista non è così positivo come si vuol far credere. Alcune Accademie Regionali lavorano molto bene, altre molto meno bene per quelle che sono le relazioni che ci vengono fatte dalle persone in loco. Credo che quello sia un progetto che vada sicuramente rivisto e analizzato punto per punto con ognuna delle 12 Accademie che in questo momento abbiamo. Non nascondo che, per quelle che sono le Accademie del baseball che non funzionano bene, l’idea di poter creare anche delle Accademie di softball potrebbe essere anche una buona occasione per il nostro altro sport, senza voler dimenticare il Baseball5 né il baseball per ciechi“.

Da qui emergono due domande. La prima: come Lei intende riorganizzare le Accademie Regionali là dove ci sono dei problemi? La seconda: il softball ha una situazione un po’ diversa dal baseball, perché riesce comunque ad avere sempre un alto livello importante, che l’ha portato a tanto così dall’eliminazione diretta ai Mondiali.

Parto dal softball: ha lavorato molto meglio del baseball in questi ultimi anni, ha fatto degli ottimi risultati e la qualificazione olimpica è uno straordinario risultato. Tante vittorie di Europei, piazzamenti, da questo punto di vista credo che il softball vada sicuramente aiutato a consolidarsi in quello che è stato fatto finora e possibilmente migliorarsi. Dico sempre, e questo vorrei che tutto il mondo della pallina gialla lo comprendesse, che non siamo qua per cambiare o aggiustare quello che non è rotto, ma siamo qua per aiutare chi ha fatto bene a fare ancora meglio. Nel baseball si è navigato molto a vista, senza un progetto a lungo termine, abbiamo cambiato non so quante volte gli staff delle varie Nazionali, i pitching coach negli ultimi anni sono cambiati sette volte. Mi sembra che si viva un po’ alla giornata invece di avere un progetto di lungo periodo. Non ci dimentichiamo che, a parte l’Under 12 nei primi anni, non abbiamo vinto nulla a livello europeo in nessuna delle categorie. C’è stata questa vittoria all’Europeo Under 18 quest’anno, ed è stata molto gradita anche da parte nostra, ma non è frutto di un lavoro a lungo termine, ma di uno staff di lanciatori e una squadra decisamente molto buona, considerato però che tanti di quei ragazzi non si sono formati nelle nostre accademie regionali. Edoardo Cornelli, l’interbase titolare, si è fatto tre anni di Accademia a Regensburg, il ricevitore titolare, Ricardo Staurenghi, viene da due anni in Repubblica Dominicana, lo stesso Filippo Baldassarri è passato dal college degli USA. Ci sono dei ragazzi che hanno fatto parte della Nazionale Under 12, ma questo non può essere venduto come un risultato delle Accademie Regionali perché non lo è. Come intendo rivedere le Accademie Regionali? Credo che ci fosse un’Accademia Nazionale che garantiva dei risultati straordinari. Non si sa bene perché è stata smantellata. Si vocifera che potrebbe essere riaperta, ma intanto abbiamo perso otto anni di sviluppo di talento. Quelle che funzionano continueranno a funzionare bene, per le altre dovremo pensare a qualcosa di diverso, perché se non vengono prodotti dei risultati bisogna stare attenti anche a questo e impegnare quei soldi per Accademie di softball, che credo sia anche una buona opportunità in questo senso“.

Peraltro, restando sul discorso Nazionale, la summa di tutta una serie di problemi da Lei elencati riassume in qualche modo anche quello che è accaduto nel paradosso del 2023, nel senso che da una parte c’è stato il World Baseball Classic con tutte le sue particolarità e dall’altra il disastro di dimensioni enormi degli Europei.

Dico la verità. Della Nazionale di baseball mi rimane sempre difficile parlare, avendo fatto parte di quel mondo per 10 anni, ero il manager della Nazionale, quindi so di tutto quello che è successo, di quali sono le problematiche. Detto questo, ci sono due o tre cose che non ho ben capito. Innanzitutto si è partiti con una propaganda, otto anni fa, dove si diceva che si preferiva un manager che arriva quinto con tutti italiani invece di uno che vince con dei giocatori che l’Italia non sanno nemmeno dove sia, salvo poi arrivare a un annuncio pubblicitario messo un mese fa per tutti quelli che volevano provare a Tampa, dov’era il raduno della Nazionale, per farsi vedere perché questo poteva garantire loro un posto in azzurro alle Olimpiadi o al World Baseball Classic. Credo che questo sia un salto quantico: in mezzo ci sono tante cose. Non capisco come si possa convocare nelle nostre Nazionali giovanili ragazzi che non si sono mai visti in Italia. Questo è successo nel Mondiale Under 18 del 2022, è successo nell’Europeo Under 23 (ed è stata una brutta figura anche quella, con l’Italia che è arrivata quinta), dove abbiamo invitato a giocare un giocatore mai visto prima e mai visto dopo nel nostro campionato, per finire in modo veramente disastroso con l’Europeo in Cechia, con un nono posto che rimane anche difficile da commentare dal mio punto di vista, perché non è accettabile che la Nazionale italiana arrivi nona a un Europeo e vada a giocare il relegation round con Lituania e Svizzera. Vero è che il baseball ora è difficile quando vai a giocare a livello internazionale, perché tutti si sono comunque attrezzati in vario modo, ma è vero che se ci viene venduto un progetto per un certo tipo di discorso e poi si arriva noni all’Europeo non può essere accettabile. Il discorso Classic è ovviamente totalmente diverso, quello ha delle regole che sfuggono a tutte queste considerazioni perché, essendo un evento organizzato in collaborazione tra MLB Player Association e MLB, nel momento in cui i giocatori di Major League vogliono partecipare al Classic è chiaro che devi farli partecipare. Chiaramente se vuoi rimanere dentro a quel tipo di mondo devi fare dei risultati che non puoi rimandare. Si tratta di rimanerci se ci vuoi rimanere o fare un discorso diverso, che non è facile, come ha fatto la Cechia che si è qualificata in modo incredibile e ha fatto anche una figura molto buona, con quasi tutta la rosa meno due giocatori proveniente dal loro territorio, dai loro vivai, dove hanno iniziato circa 15 anni fa un programma molto ambizioso che sta dando dei risultati e, come movimento, in questo momento ci sono sicuramente sopra non tanto dal punto di vista dei risultati quanto come movimento in sé, i loro progetti giovanili sono migliori, c’è gente che gioca, è un movimento molto più vivo“.

Mazzieri / WBSC – Ezio Ratti

Piccolo off topic sull’ambiente del World Baseball Classic che si riallaccia sempre alle parole di Maestri nel libro scritto con Elio: parla di Lei come di un grande motivatore, anche in riferimento ai discorsi che lui ricorda con grande piacere perché si dava l’idea di voler portare a un livello più elevato e a unire tutti, nonché, al Classic, unire anche quelli che non erano italiani.

Ringrazio Alessandro delle sue parole; quando io ho iniziato il mio percorso con la Nazionale maggiore del 2007, dopo la mancata qualificazione olimpica a Pechino 2008 e il sesto posto all’Europeo di Barcellona, la mia idea era quella di riuscire a convincere i giocatori che, a livello internazionale, in una partita secca, potevamo battere chiunque. Avevamo iniziato un percorso che da subito ha dato dei risultati importanti. La vittoria contro gli Stati Uniti nel 2007, che poi hanno vinto perdendo solo con noi, ha sicuramente aiutato questo tipo di percorso che avevamo subito intrapreso, perché ha fatto convincere i giocatori che potevamo battere chiunque in una gara secca. E quella squadra USA aveva giocatori fenomenali, tra cui Evan Longoria, al tempo il prospetto numero 1 della MLB. Da lì è iniziato tutto un percorso che ha portato probabilmente un cambiamento di cultura all’interno della Nazionale e dove tutti i ragazzi sono stati bravissimi e ci hanno sopportato e supportato in tutto quello che era il percorso per ogni evento. Hanno capito che se volevamo essere competitivi a livello internazionale dovevamo fare le cose in un modo un po’ diverso da come l’avevamo fatto finora e soprattutto con un’intensità diversa. Sono usciti giocatori importanti per il mondo internazionale, anche dei nostri ragazzi, e questa è la dimostrazione che questo percorso poteva dare dei risultati. Quando si ha a che fare con la Nazionale ci sono due obiettivi da dover raggiungere: vincere e competere al più alto livello possibile e sviluppare talento. A quel Mondiale portai giocatori che venivano dall’Accademia: Luca Panerati, che al tempo non aveva nemmeno 18 anni, e Matteo D’Angelo, che hanno lanciato contro gli USA e avevano fatto tranquillamente il loro dovere. Nel 2010, in Coppa Intercontinentale, hanno esordito Alessandro Vaglio e Alex Sambucci, anche loro venivano da un percorso in Accademia e avevano vent’anni. Si tratta di mettere dentro, e avere un po’ di coraggio, quei giocatori che capiscono che se vuoi diventare un giocatore di livello internazionale devi fare le cose in un modo diverso tutti i giorni per anni. I nostri ragazzi l’hanno capito e sono stati bravissimi“.

Tornando in argomento, sappiamo che a livello di club c’è un po’ di confusione su partecipazione e non partecipazione delle squadre italiane nelle Coppe europee. Lei che idea si è fatto e come intende agire?

Qui c’è un po’ di confusione, perché WBSC Europe ha lanciato la Champions Cup dove però hanno partecipato solo due tedesche e due ceche. Le altre, poco convinte da quel progetto, hanno preferito non partecipare e dubito parteciperanno anche nel 2025. Credo che quello vada inquadrato in un’ottica un po’ più grande, e credo che WBSC centrale, che ha iniziato il progetto di Champions League a livello mondiale con le vincenti dei vari campionati, probabilmente ha un’idea di voler trasportare in Europa quello che succede negli altri Paesi. Lanciare una Coppa dei Campioni per club dove non si sa bene quelli che sono i ritorni, le spese che si dovranno affrontare, gli introiti che ogni squadra potrebbe avere in cambio diventa un po’ difficile. Fare una Champions Cup dove le società devono pagarsi le spese per le trasferte e tutto quel che riguarda partite di un certo livello, infrasettimanali, e anche di giocatori, perché ti serve chiaramente un roster più allargato, diventa difficile fare una scelta del genere. Io credo che lì sarà da sedersi bene con chi organizza questo, non solo WBSC Europe ma anche WBSC centrale come ente che gestisce tutti gli altri continenti“.

Come intende intervenire sull’attività di Baseball5, baseball per ciechi e via dicendo?

Con il Baseball5 noi abbiamo un’arma nucleare, perché è veramente multiuso. Si presta a mille direzioni diverse. Intanto il Baseball5 è già alle Olimpiadi Giovanili di Dakar 2026, e questo la dice lunga sull’esplosione di questa disciplina di urban sport. Noi abbiamo perso troppi anni rispetto a questo, ci stiamo avvicinando timidamente al mondo Baseball5 cercando di organizzare corsi per tecnici e altre cose, ma siamo indietro 5-6 anni rispetto a quel che dovevamo essere. Il Baseball5 è propedeutico a baseball e softball, perché aiuta e migliora la coordinazione mani-occhi, la velocità dei piedi, ti insegna già le regole per quelle che sono, per cui anche entrare nelle scuole elementari a fare Baseball5 è molto più semplice che entrare con baseball, mazze e palline, anche se di gomma. Da questo punto di vista farci conoscere è più facile nelle scuole, ma potrebbe essere anche quello che succede quando organizzano eventi come i Mondiali in Messico, dove hanno organizzato quattro campi in piazza a Città del Messico e ha avuto un successo incredibile in termini di visibilità. Io mi immagino una bella presentazione ufficiale in varie città italiane dove, giocando con una pallina di gomma e basta, è molto semplice avere un permesso per organizzarla nel centro della città. Dobbiamo rivolgerci verso tutto quel mondo che non ci conosce. Noi siamo purtroppo abbastanza invisibili in questo momento, e il fatto di avere una disciplina che puoi portare tra le spiagge o le piazze e far conoscere quello che è una parte del nostro mondo è sicuramente molto interessante. Sul baseball per ciechi, credo che vadano molto più coinvolti di quanto lo siano stati finora. Fra l’altro è un mondo partito una trentina d’anni fa e, secondo me, sono anche loro ad avere il desiderio di sentirsi molto più protagonisti del nostro mondo. Le regole sono leggermente diverse, ma giocano a baseball anche loro. Sono dei super atleti: se a qualcuno non sarà capitato di aver mai visto una partita di baseball per ciechi, ma stimolo tutti quelli che leggono quest’intervista a farlo, perché quello che fanno questi ragazzi è assolutamente straordinario. Io immagino anche il tipo di insegnamento che potrebbe esserci, di tipo educativo, morale, etico, nel farlo provare anche ai ragazzi normodotati e far capire loro che tipo di fortuna hanno per avere due occhi che vedono. Il mondo del baseball per ciechi è straordinario, credo che vada implementato e aiutato ad allargarsi un po’ più di com’è ora. Loro ci chiedono questo e vogliono essere ancora più protagonisti del nostro movimento“.

Tornando al discorso di Serie A: come vorrebbe strutturarla? E come regolerebbe il discorso legato ai 7 e ai 9 inning?

Credo che intanto non si possa cambiare senz’avere un obiettivo. L’obiettivo è avere il nostro massimo campionato di livello più elevato possibile, è un po’ il nostro biglietto da visita. Se quello è il nostro biglietto da visita, parto da un po’ più lontano. Le nostre strutture, i nostri campi, i nostri stadi, dovrebbero essere un po’ più accoglienti. Ci sono stadi di Serie A che non credo siano così accoglienti. Mi piacerebbe che le società iniziassero a pensare che riportare la gente agli stadi o nei campi di baseball solo con la partita non è sufficiente. Lo era 30-40 anni fa, ma i gusti della gente e le loro priorità sono cambiate. Alla gente piace essere intrattenuta quando va a un evento sportivo. Se facciamo caso ad altri sport che vanno per la maggiore, anche questi si sono dovuti innovare da un certo punto di vista. Quindi c’è musica, ci sono le luci in un certo modo, movimento, attività collaterali. Credo che dobbiamo entrare in questo ordine di idee, prendendo magari due stranieri in meno e investire qualcosa in più per l’accoglienza dei nostri stadi e cercare di organizzare le cose in un modo un tantino diverso. Detto questo c’è la partita, l’evento in sé: dev’essere del livello più competitivo possibile. Chiaramente questo non può partire con la bacchetta magica, i giocatori che fanno un livello importante devono essere preparati per arrivare a quel livello. Sarebbe bello pensare di fare quattro partite alla settimana con gli stadi pieni di gente, ma siamo in Italia e questo non è possibile. Oggi i giocatori, soprattutto quelli italiani, devono anche lavorare perché non si può vivere di baseball. Sul discorso di quante partite, come giocarle o con che regole, questo credo vada inquadrato in una fotografia più grande che è quella di preparare innanzitutto i giocatori nel modo giusto. Chiaramente, dal mio punto di vista, non nascondo che mi piacerebbe avere un po’ più italiani in campo, bravi, con degli stranieri che siano quelli che erano veramente fino a un po’ di anni fa. Anche le società devono riguardare quelli che sono i budget, i grandi giocatori che tutti ricordiamo oggi non se ne vedono più perché i budget devono essere gestiti con attenzione. Sette o nove inning: è chiaro che gli amanti del baseball vogliono i nove inning. Abbiamo visto le World Series, succede qualsiasi cosa. Due o tre partite? Difficile dirlo in questo momento, mi piacerebbe prima confrontarmi con le società prima di dettare un campionato che, sinceramente, diventa un po’ prematuro in questo momento. Credo però che sicuramente chi deve giocare un campionato di massimo livello dovrà avere delle strutture all’altezza, accoglienti, e possibilmente in cui si possa giocare in notturna se il calendario lo prevede“.

Come si compone la Sua squadra e quali sono gli elementi che hanno dato di più a questa candidatura?

I consiglieri sono Pierluigi Bissa, Stefano Sbardolini, Sergio Piccinini, Maurizio Faini, Elio Dal Pozzo, Marina Centrone, Federica Morri, che sono in quota dirigenti, Ettore Finetti in quota tecnici, Andrea Sgnaolin ed Emanuela Giovinazzo in quota atleti. Ci sono altre persone che hanno fatto parte di questo gruppo: Gibo Gerali, Lucio Taschin, Gianni Natale, così come altra gente. Magari ne dimentico qualcuno e mi dispiace. Le persone che abbiamo scelto per la candidatura al Consiglio Federale hanno tutte una loro competenza e conoscenza, il che secondo noi è importante: come ho sempre detto ai miei giocatori, l’uno è un numero troppo piccolo per raggiungere qualsiasi successo, la squadra è molto più importante“.

Lei ha citato Gibo Gerali. Dopo di lui è arrivato Mike Piazza, e si è visto che a volte è difficile interagire con il tipo di situazione che può avere un personaggio come lui.

Mike Piazza sicuramente dovrà avere un ruolo in questa Federazione, se a lui farà piacere. Quel ruolo eventualmente lo vedremo in futuro, non possiamo certo dirlo adesso“.

Lei ha vissuto l’esperienza dei Global Games. Com’è stata?

Questa è stata la mia seconda esperienza, la prima l’avevo fatta nel 2015 sempre con la selezione europea. Dal 2015 a marzo di quest’anno la squadra giapponese è veramente incredibile, con uno staff di lanciatori che è veramente di quelli che ne tirano fuori dal forno come il pane. La difesa non sbaglia una palla, i battitori non ti regalano un turno. L’esperienza è stata straordinaria, perché quando hai a che fare con l’organizzazione giapponese è tutto al massimo livello. Quest’esperienza mi ha permesso di ritornare in uno stadio importante dopo l’esperienza del Classic 2017. La scuola giapponese m’intriga moltissimo, e non nascondo che grazie ai buoni rapporti che ho a livello internazionale e che mi sono guadagnato nel corso degli anni mi piacerebbe importare un po’ della loro cultura di baseball e della loro tecnica anche qui da noi, soprattutto con i nostri tecnici. Sia NPB che Softball Japan ci hanno dato piena disponibilità se ne avremo bisogno. Mi piacerebbe strizzare l’occhiolino a quella parte di mondo“.