Le manipolazioni della genetica sono il futuro. Con quali incognite?
La scorsa settimana ho partecipato a Venezia a “Origins of the Futures” (Le Origini dei Futuri), evento di alto profilo culturale organizzato da Edison in collaborazione con Fondazione Feltrinelli. Nello spettacolare scenario delle Procuratie Vecchie, su uno dei lati di Piazza San Marco, ristrutturate dall’archistar David Chipperfield e restituite all’uso pubblico, con una quarantina di economisti, sociologi, architetti, giornalisti, pensatori e scienziati abbiamo discusso, prima a porte chiuse e poi in pubblico, di come possiamo disegnare il nostro futuro e, soprattutto, di come possiamo sin d’ora agire per renderlo più percorribile.
Partendo dal concetto che la qualità del futuro non è legato al tempo, ma alle scelte che facciamo oggi, abbiamo parlato di come saranno le città del futuro, vista l’attuale tendenza centripeta verso la formazione di megalopoli urbane, del problema del sovrappopolamento del pianeta (8.5 miliardi di individui oggi), di come non ci sarà futuro senza educazione. Immancabilmente, abbiamo parlato anche di intelligenza artificiale e di energie rinnovabili.
Un tema innovativo è stato quello della frugalità, intesa non come povertà ma come necessità di mantenere il valore delle cose e di usarle in maniera appropriata. Dal momento che la crescita attuale non può essere sostenibile, visto i limiti del pianeta e l’esponenziale marea umana, è importante adottare uno stile di comportamento frugale, che dia valore alle cose nel tempo. C’è chi ha osservato che il trend in questo senso è curioso: nel progettare i nuovi spazi urbani gli architetti stanno tornando indietro al legno, gli ingegneri all’energia rinnovabile del sole, del vento e delle acque. Ma questo futuro sembra un ritorno al passato, perché è dalle case in legno e dall’energia naturale, appunto, che l’umanità proviene.
Quale sarà il futuro della medicina e delle scienze della vita in generale? Inevitabilmente impresso dalla genetica e dalle manipolazioni genetiche, con tutta la difficoltà a gestirle dal punto di vista etico e giuridico. Possiamo manipolare i geni per migliorare la specie umana? Certamente, se vogliamo correggere i difetti genetici che portano a una malattia. Ma anche per migliorare le prestazioni sportive o intellettuali? O il nostro aspetto fisico? Ci possiamo aspettare umani geneticamente modificati nel prossimo futuro?
Un altro tema discusso è stato quello, strettamente connesso, della manipolazione della vita. Dalla ricerca sugli embrioni alla creazione di organoidi di cervello, il futuro prossimo ci vedrà generare organi in laboratorio, da usare come veri e propri pezzi di ricambio per la medicina rigenerativa. Etico? Non etico? Difficile dirlo, ma comunque inevitabile, soprattutto perché l’uomo non si è messo mai alcun paletto di fronte alla possibilità di usare la scienza più estrema per curare le proprie malattie.
E poi il problema dell’invecchiamento: riusciremo a valicare la soglia oggi definitiva dei 120 anni di vita massima per la specie umana? Modificando i geni, ci siamo già riusciti con i moscerini della frutta, i vermi e anche con i topi. Non c’è motivo per pensare che non ci riusciremo con gli esseri umani. E poi, come potranno convivere umani che sopravvivono per centinaia di anni con altri umani che continuano a nascere in maniera esponenziale? Su un singolo pianeta che sta per essere consumato? Sono davvero pensabili scenari di vita al di fuori della terra?
È stato un meeting di quelli che ti lasciano qualcosa dentro che ti fa riflettere a lungo, quello di Venezia, il che va tutto a plauso agli organizzatori. Alla fine, però, viene anche da chiedersi se quelli che abbiamo pensato a Venezia siano veramente i “futuri” per tutta l’umanità o soltanto quelli per una fetta di individui che, come noi, sono “weird”, per parafrasare un termine coniato da Joseph Heinrich nel suo bel libro dallo stesso titolo. “Weird” in inglese significa “bizzarro”, “strano”, ma Heinrich lo usa come acronimo di Western (occidentale), Educato, Industrializzato, Ricco e Democratico, tutti termini che descrivono noi che siamo il frutto della nostra cultura occidentale.
Secondo Heinrich, il modo di pensare di noi weird è condizionato, anche in maniera strutturale nel nostro cervello, dalla nostra formazione e dal nostro stile di vita occidentale. Ma il futuro che vogliamo noi è davvero anche il futuro che vuole il resto dell’umanità? Soprattutto: è il tipo di futuro che vuole l’Africa? Al convegno di Venezia, c’è chi affermato che non ci sarà futuro per l’umanità senza che ci sia futuro anche per l’Africa, il continente più ricco di risorse ma anche quello in cui l’umanità continua a essere la più povera e tribolata. Ma quale è il futuro che l’Africa vuole per se stessa, visto che tutti i tentativi di occidentalizzarla sono finora falliti?
Nel discutere di questi temi, c’era chi di noi si sentiva eccitato (a dire la verità, la minoranza, tra cui però chi vi scrive), mentre altri (i più) trasmettevano un senso di angoscia. Ma, come usava dire Einstein, a proposito del futuro è meglio essere ottimisti e avere torto che essere pessimisti e avere ragione. —
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