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Октябрь
2024

Come funziona, oggi, la web tax italiana

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In principio fu la web tax, una imposta che è stata stabilita nel 2019 (e che è entrata in vigore nel gennaio del 2020), che prevedeva alcune caratteristiche che prendevano di mira soprattutto le aziende di Big Tech e che, in ogni caso, partiva dal presupposto di un periodo storico molto diverso per l’ecosistema digitale globale: la tassa, infatti, era stata introdotta prima della pandemia di coronavirus, quel grande spartiacque che ha rappresentato, in alcuni casi, grandissimi vantaggi soprattutto per i principali player di settore, visto l’utilizzo praticamente esclusivo che si faceva del digitale per tenere in piedi le relazioni sociali. Ora, questo strumento punta a essere aggiornato anche se – come abbiamo visto – a farne le spese non saranno i giganti del digitale a livello mondiale, quanto le piccole e medie imprese italiane che operano nei servizi web.

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Web Tax, come ha funzionato fino a questo momento

La web tax era applicabile alle aziende con ricavi annuali globali superiori a 750 milioni di euro e ricavi derivanti da servizi digitali forniti in Italia superiori a 5,5 milioni di euro in un anno solare. Queste soglie assicuravano che l’imposta fosse focalizzata sui maggiori attori digitali, molti dei quali senza stabile organizzazione in Italia o con un organigramma italiano molto approssimativo.

La web tax era applicabile a servizi di pubblicità online (ricavi derivanti dal posizionamento di pubblicità mirata su un’interfaccia digitale basata sui dati raccolti dagli utenti); interfacce digitali multilaterali (ricavi derivanti dalla fornitura di una piattaforma digitale che facilita l’interazione tra utenti, che può comportare la fornitura di beni o servizi); trasmissione di dati utente (ricavi derivanti dalla vendita o dal trasferimento di dati raccolti sugli utenti e generati tramite le loro attività su piattaforme digitali).

L’imposta, più che sugli utili, veniva applicata sul fatturato, in quanto riscossa sui ricavi che le aziende derivavano specificamente dagli utenti italiani. Adesso, i principi di base di questa legge – seguendo le indicazioni dell’ex commissario europeo Thierry Breton – potranno essere completamente allargati a una platea decisamente più ampia di quella fin qui descritta, con le conseguenze di cui abbiamo parlato negli altri articoli del nostro monografico di oggi.

Come ha funzionato finora la web tax

Una sua revisione, del resto, si è resa necessaria, visto lo scarso successo che ha ottenuto in passato. Erano previsti introiti superiori ai 700 milioni di euro (una cifra rilevante ai fini di una finanziaria), che – a causa di ritardi e mancate applicazioni – alla fine si sono rivelati essere poco più di 230 milioni. Nel 2021, il ministro dell’Economia Daniele Franco aveva dato una spiegazione rispetto alla cifra raggiunta: «A oggi sono stati ripartiti versamenti effettuati con modello F24 fino al 17 maggio per un importo di 98 milioni da parte di 49 soggetti, 40 società di capitali e 9 contribuenti non residenti, e sono stati rilevati alla Ragioneria generale dello Stato (Rgs) bonifici effettuati direttamente in Tesoreria per un importo di 135 milioni, complessivamente quindi il gettito dell’imposta sui servizi digitali per il 2020 ammonta a 233 milioni». Da qui si capisce la portata limitata di una legge che, però – se avesse funzionato come previsto – avrebbe generato introiti maggiori, senza andare a toccare le piccole e medie imprese.

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