Caos certificazioni, ecco perché a Padova il basket si gioca a porte chiuse
La sicurezza non è mai troppa, si sa. E la Fip, la federazione della pallacanestro, sembra aver preso particolarmente a cuore l’invito. Risultato? In più di qualche palestra padovana, città compresa, le partite di basket si giocheranno a porte chiuse.
Nessun tifoso sugli spalti, niente ultras a sostenere le squadre, neppure mamma o papà ad assistere ai primi canestri dei figlioletti.
È la diretta conseguenza di quanto stabilito lo scorso 19 settembre dal Consiglio regionale della Fip, ma che di fatto si tocca con mano in questi giorni in cui i campionati sono al via: tutti gli impianti che non vantano una regolare certificazione di agibilità al pubblico spettacolo non possono aprire le porte a tifosi, famiglie e accompagnatori.
La Federazione e i presidenti delle società affiliate all’ente, infatti, hanno una responsabilità civile e penale sugli eventi sportivi che si svolgono in palestre e palazzetti: va da sé che anche la piena tutela di chi entra come spettatore ricade su organizzazione e dirigenti. La Fip, peraltro, concede un’omologazione agli impianti di gioco.
A fine del quadriennio olimpico, quando notoriamente le federazioni tirano le somme di cosa va e cosa non va, anche su pressing del Coni è emerso che molte strutture omologate non hanno associata una seria documentazione circa la sicurezza del pubblico: dalla capienza effettiva degli spazi alla stabilità degli spalti, passando per la presenza di uscite d’emergenza e vie di fuga.
Qualche mese fa le società affiliate sono state invitate a presentare tutte le certificazioni in materia, che devono essere prodotte dai titolari degli impianti (Comuni e Province, soprattutto): ebbene, non tutti hanno ricevuto (ah, la burocrazia italiana!) e presentato quanto richiesto. Morale della favola: nei calendari dei vari campionati, alcune partite recano la dicitura “PC”, che sta per “Porte Chiuse”. Entrano solo atleti, allenatori, vertici societari, arbitri e cinque persone per squadra, ma solo «per adempiere alle attività collegate all’incontro».
Il problema è diffuso e rischia di creare non pochi disagi a molte società padovane, che in questi giorni stanno vedendo avviare praticamente tutti i campionati provinciali e regionali, senior o giovanili che siano.
Si giocherà a porte chiuse, ad esempio, alla “Modigliani” di via Ugo Bassi a Padova, e ancora in città al palazzetto “San Domenico” di via Cardan (Mortise), così come alla palestra “Salboro” di via Ponchia: le squadre di Divisone Regionale 2 (l’ex Promozione) non potranno avere supporter al seguito. In Divisione Regionale 3, tra chi per ora dovrà palleggiare nel silenzio degli spalti, ci sono i cestisti del palazzetto “Grossi” di Battaglia Terme. Dicasi lo stesso nel campionato Under 19, per l’impianto della “Casa del Fanciullo” di vicolo Santonini a Padova, o in Under 17 per la palestra “Azzurra” di piazza Pio X a San Martino di Lupari e via via arrivando fino al palasport “Gazzabin” di Albignasego in Under 15.
L’elenco va in realtà oltre. Molti anche gli impianti rodigini off-limits, aspetto non banale: spesso le squadre padovane sono inserite in gironi con squadre del Polesine, il che significa che chi accompagnerà amici, partner o figli in trasferta dovrà aspettare al bar o in auto. Con paradossi: della serie, capita di accompagnare il figlio a una partita e di non poter entrare, ma di vedere uscire tranquillamente dalla palestra i genitori che hanno assistito a un match di pallavolo, o magari a una partita di basket ma gestita da altro ente (tipo Csi o Uisp).
«Non è la Fip a voler far la parte della cattiva», spiega Flavio Camporese, presidente provinciale della federazione, «siamo semplicemente i primi a muoverci e ad applicare protocolli di sicurezza che, entro l’anno prossimo, quasi sicuramente imporranno anche altre federazioni».
Gli uffici federali si stanno adoperando per ridurre al minimo i disagi delle società: «Anzi, ci stiamo interfacciando con Comuni ed enti dove le certificazioni ancora mancano, proprio per far sì che nessuno soffra per questa situazione».
E pur comprendendo i limiti di giocare una partita a spalti vuoti, Camporese sottolinea: «Questo processo si sta defilando come una grande “operazione sicurezza”: la richiesta di certificazioni alle società ha fatto emergere eventuali deficit sul fronte della sicurezza, e allo stesso tempo di sanarli». La sicurezza, prima del tifo.