Omicidio di Vanessa Ballan, l’assassino davanti al giudice
Chiuse le indagini sull’omicidio di Vanessa Ballan, la cassiera di un supermercato di Riese, uccisa il 19 dicembre scorso dal suo ex amante, ora la procura della Repubblica chiede il rinvio a giudizio per l’imbianchino kosovaro Bujar Fandaj. E c’è già una data per l’udienza preliminare: sarà il 3 dicembre prossimo.
Oltre all’omicidio volontario, con le aggravanti della premeditazione e dell’aver commesso il fatto contro una persona con la quale aveva avuto un rapporto sentimentale, a Fandaj la procura contesta altri tre reati.
La violazione di domicilio della casa di via Fornasette a Spineda con l’aggravante di aver distrutto una porta per accedere nell’abitazione, il porto d’armi da taglio (due coltelli da cucina) atte a offendere senza giustificato motivo e la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, in altre parole il revenge porn.
Una novità nell’inchiesta emersa dall’avviso di chiusura delle indagini da parte della procura, assieme al fatto che è caduta l’accusa iniziale di stalking. Quando Fandaj scoprì che Vanessa voleva tagliare i ponti con lui, il kosovaro inviò per vendetta al compagno Nicola Scapinello un video di un rapporto avuto assieme alla Ballan.
Fu quella la goccia che fece traboccare il vaso e indusse la cassiera dell’Eurospin di Riese ad andare dai carabinieri a denunciarlo per stalking. Un’accusa che però non ha retto nel corso delle indagini che hanno dimostrato come tra i due ci fosse reciprocità nelle telefonate e nei messaggi e non erano a senso unico, come in genere succede per chi è accusato di atti persecutori.
Non solo, nel cellulare di Fandaj è stato trovato un selfie con Vanessa scattato il 24 ottobre 2023, pochi giorni prima della denuncia per stalking sporta dalla Ballan.
Era dunque indimostrabile l’accusa di stalking che prevede la paura del proprio persecutore e la modifica delle abitudini di vita a causa del suo comportamento.
L’invio del video a Scapinello, all’insaputa di Vanessa, è valso l’accusa dell’articolo 612 ter del codice penale che punisce gli autori del “revenge porn”.
L’artigiano kosovaro è reo confesso dopo aver sottoscritto una memoria difensiva in carcere, nel gennaio scorso, nella quale ha ammesso di aver ucciso l’ex amante ma solo per difendersi da un’aggressione con il coltello da parte della donna.
Una ricostruzione inverosimile, secondo gli inquirenti, per cercare, in qualche modo, di evitare l’aggravante della premeditazione per la quale rischia l’ergastolo. Certo è che a suo carico, gli indizi sono pesantissimi. A partire dalla telefonata, fatta al 112, due ore prima della sua cattura. Una telefonata nella quale Bujar disse all’operatore del 112 due frasi di valore “confessorio” per la procura della Repubblica di Treviso: «La merda che ho fatto, la merda che ho fatto». E poco dopo: «Quello che non dovevo fare, l’ho fatto»