Il rudere in strada di Fiume dell’ex osmiza Giovannini: un’oasi di pace solo nei ricordi
Le foto sui social mostrano ancora la piena attività nel 2017, tra tavolate tutte occupate, tanta musica e canti in compagnia, in un ambiente familiare e conviviale. Uno scenario ormai dimenticato, in quella che è l’ex osmiza Giovannini, chiusa e abbandonata a poca distanza da strada di Fiume. Negli ultimi anni la struttura ha ceduto in più punti, tanto da essere transennata e l’accesso è vietato per questioni di sicurezza, anche nel giardino, che un tempo era libero, per i clienti che potevano accomodarsi all’esterno in attesa di ordinare cibo e vino.
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Si vede ancora l’entrata, ciò che resta dell’edificio principale e in particolare il grande spiazzo con il pergolato e i piccoli fabbricati accessori, in cui durante la bella stagione triestini e turisti si godevano il fresco.
L’ex gestore Sergio Giovannini, dopo tanti anni di lavoro, ha chiuso tutto. Da allora l’immobile è caduto del dimenticatoio. Adriano, nipote di Sergio, racconta che «è stato un posto per me speciale, da piccolo insieme ai miei cugini ho splendidi ricordi, di un posto nel verde, dove giocare all’aria aperta. C’erano anche alcuni animali. Per noi, bambini e ragazzini, era un luogo molto amato». Da adulto poi la frequentazione, tra impegni familiari e di lavoro, è diminuita.
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È grazie al sito osmize.com, che da anni mappa e aggiorna la storia delle osmize su tutto il territorio, che si scoprono altre informazioni sul passato del locale. La data di apertura risale al 3 dicembre 1972, quando Mario Giovannini decide di iniziare l’avventura enogastronomica.
Lo seguirà poi il figlio Sergio. «Entrando nell’osmiza i richiami al periodo austro-ungarico sono evidenti, e non a caso fino a qualche anno fa c’era un’intera baracca denominata Franz Joseph per i diversi quadri asburgici che occupavano le pareti - si legge nel testo - in una struttura rinomata in tutta Trieste per le tartine di alici. Gli insaccati sono quelli noti (crudo, ombolo, ossocollo, pancetta) e il formaggio proviene da aziende locali. Come vino il “Pucino” (a base Glera, il vitigno del Prosecco) oppure la Vitovska come bianchi, mentre il rosso è un Refosco».
Fuori dall’edificio, a ridosso della recinzione, resta qualche sedia, alcune sono impilate, altre gettate alla rinfusa. Su una c’è anche quello che sembra un macinino arrugginito. Dietro, nel verde aggrovigliato, spunta anche una ciotola per cani e si intravede la rete di un letto e diverse cassette per bottiglie. Vicino a un muro c’è anche lo scheletro di un grande bancone e adagiate una accanto all’altra le vetrate di diverse finestre. Sull’angolo della parte più vecchia resiste anche un lampione particolarmente vecchio.
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La stradina defilata e nascosta che conduce all’ex osmiza ha favorito, probabilmente anni fa, l’incursione di qualche vandalo. A pochi metri qualcuno ha lasciato nell’erba, dopo averlo distrutto, un frigo da bar. Altre immondizie sono sparse tutto attorno. Come detto l’edificio e il giardino sono stati poi chiusi con alte recinzioni in ferro per evitare che qualcuno possa entrare a curiosare, anche perché parte del fabbricato sembra a rischio di crolli. Eppure dell’osmiza Giovannini si scriveva: «Un’oasi di pace subito fuori dal centro». —
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