Siamo uno Stato in pessima salute
In pessimo Stato. È una cartella clinica impietosa, e al tempo stesso un implacabile atto d’accusa, l’annuale rapporto della Fondazione Gimbe sulla sanità italiana, presentato nei giorni scorsi al Senato. I capi d’imputazione sono eloquenti: alla cura della salute dedichiamo 52 miliardi in meno rispetto alla media europea; gli investimenti per la prevenzione sono diminuiti del 18 per cento; nel solo ultimo anno i costi a carico delle famiglie sono saliti del 10 per cento; quest’anno 4 milioni e mezzo di persone (600mila in più del 2023) dovranno rinunciare a curarsi, più della metà dei quali per mancanza di soldi, il resto per carenza di medici. Per la salute spendiamo 2. 473 euro l’anno a persona, contro i 3. 644 della Francia e i 4504 della Germania. I tempi d’attesa rimangono biblici, i pronto soccorso sono più che intasati che mai, il futuro immediato è da prognosi riservata.
È destinata a peggiorare già a breve, la cartella clinica della sanità, come certifica il documento di economia e finanza varato un anno fa dal Consiglio dei ministri. Il rapporto tra spesa sanitaria e prodotto interno lordo calerà dal 6, 7 per cento del 2022 al 6, 1 del 2026, con un irrisorio incremento del finanziamento insufficiente a coprire perfino il rincaro dei prezzi. Una sola cosa aumenta: l’incidenza della sanità privata, pagata con il pubblico denaro.
Negli ultimi dieci anni le strutture ospedaliere convenzionate sono raddoppiate, e sfiorano la metà del totale; quelle di specialistica ambulatoriale sono sei su dieci; quelle riabilitative otto su dieci. La spesa sanitaria totale è cresciuta di 4, 2 miliardi, segnala l’Istat: sì, ma a carico esclusivamente delle famiglie, tra spesa diretta e fondi sanitari o assicurativi.
A essere sotto accusa non è solo l’attuale governo. Il rapporto Gimbe spiega che questa è la regola da almeno quindici anni, con otto diversi esecutivi di ogni colore politico, inclusi quelli tecnici: tutti, senza eccezione, hanno considerato la sanità non come un investimento di base, ma come un costo da tagliare.
Con un’aggravante specifica: per ricorrere alle parole testuali del documento Gimbe, “hanno scelto di ridurre il perimetro della tutela pubblica per aumentare i sussidi individuali con l’obiettivo di mantenere il consenso elettorale”.
Una gestione clientelare, che non si è limitata a definanziare i fondi per la salute pubblica: ha finito per alimentare inaccettabili diseguaglianze territoriali, e per sostituire il servizio sanitario nazionale con 21 sottosistemi, uno per Regione.
Con esiti scandalosi: 15 Regioni hanno i conti in rosso, solo 13 rispettano gli standard essenziali di cura, il deficit complessivo è di un miliardo e mezzo, quasi il doppio del 2020. Per completare una cartella clinica da rianimazione, a questo quadro nefasto si accompagna (e in larga parte ne è la conseguenza) la forte demotivazione del personale: tra il 2019 e il 2022 se ne sono andati 11mila medici, e già 2500 si sono aggiunti nel primo semestre 2023; gli infermieri sono 6, 5 ogni mille abitanti, a fronte di una media dei Paesi Ocse di 9, 8.
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, stabilisce l’articolo 32 della Costituzione. Una politica scellerata le sta praticando l’eutanasia. —