Smartphone banditi, i presidi veneziani protestano: «Educazione digitale per i nostri ragazzi»
Stanno chini sui loro smartphone mentre sono alla fermata del bus, mostrano lo schermo ai compagni fuori da scuola, si ricordano interrogazioni e verifiche su Whatsapp, tra una confidenza e l’altra. Se i nativi digitali sono venuti al mondo con il cellulare in mano, il ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara vuole farglielo riporre per qualche ora.
La scorsa estate, infatti, ha emanato una circolare con cui intendeva dare una stretta all’uso degli smartphone in classe, vietandoli anche per scopi didattici. Niente di nuovo, a dire il vero, dal momento in cui la stretta sull’uso dei telefoni era stata introdotta dall’ex ministro Giuseppe Fioroni nel 2007.
Tutt’altra epoca quella di Valditara, dove il no al cellulare arriva dopo anni di dad e finanziamenti a pioggia per rendere le aule sempre più tecnologiche e l’apprendimento sempre più digitale. Se dapprima erano stati proprio gli studenti a criticare la stretta, facendo presente al ministro che il loro essere nativi digitali implica la necessità di un’educazione all’uso dei dispositivi più che una proibizione assoluta, a loro parere anacronistica, ora sono i dirigenti scolastici stessi a puntare il dito contro la scelta ministeriale.
«Non è con il divieto che si raggiunge l’obiettivo di un uso corretto dei cellulari» commenta Maria Rosaria Cesari, preside al liceo Marco Polo di Venezia, «la cittadinanza digitale è una sfida per la scuola di oggi, serve più educazione all’uso delle tecnologie e vedremo di farla. Per questo, però, serve la collaborazione delle famiglie». La dirigente dice di aver perso il conto dei genitori che le raccontano delle loro difficoltà a far posare il telefono ai figli, madri e padri che si dicono preoccupati, perché se il web offre mille possibilità, dietro l’angolo ci sono anche mille pericoli, che spesso i giovanissimi non vedono. «Sono nativi digitali, sì, degli smanettoni per quello che vogliono, ma ai ragazzi manca una competenza digitale in senso stretto e spesso ignorano i rischi che corrono, perché non sempre c’è la consapevolezza che a ogni azione corrisponde una conseguenza» prosegue.
Della stessa idea anche il collega Luca Michielon, dirigente all’Istituto Comprensivo di Dolo dove anche quest’anno verranno proposte attività formative per l’educazione digitale. «Ormai è una necessità, molti ragazzi hanno una vera e propria dipendenza dai social e in passato ci sono stati episodi di foto scattate a scuola e poi fatte girare nei gruppi. Niente di particolarmente grave, ma sono cose che non devono succedere» precisa. Siamo alle medie, i ragazzini hanno dagli 11 ai 14 anni e il cellulare è diventato il loro migliore amico.
Poco più che bambini, passano le ore su Tiktok e Instagram, “scrollando” compulsivamente post dove l’apparenza sostituisce la sostanza e i filtri nascondono le imperfezioni. «Abbiamo avuto anche dei casi di truffe online ai danni dei nostri alunni» prosegue Michielon, «per questo facciamo delle attività sia per gli studenti che per le famiglie, coinvolgendo anche i genitori di quarta e quinta elementare, con psicologi, avvocati e consulenti del tribunale dei minori». A Dolo il divieto dell’uso dello smartphone durante le lezioni non vale solo per i ragazzi, ma anche per il personale. «I docenti devono dare il buon esempio e si deve evitare che i collaboratori riempiano i tempi vuoti stando al telefono» ribadisce.
Al Liceo Parini di Mestre, gli studenti ripongono i loro dispositivi su uno scaffale a inizio ora, per evitare così distrazioni e usi impropri. «Avevamo provato anche a farlo depositare per tutte e cinque le ore, ma poi c’erano problemi all’intervallo» spiega il preside Enrico Pizzoli, raccontando come si creasse confusione e, in alcuni casi, i telefoni nel marasma finissero per terra e poi le accuse ricadessero su compagni o insegnanti.
Di fatto, però, Pizzoli non si dice molto entusiasta della circolare di Valditara. «Il ministero ci ha complicato le cose, il divieto c’è sempre stato» ribadisce, dando voce a un pensiero comune tra molti suoi colleghi. «Di fatto non è cambiato niente, se non l’estensione della proibizione anche a quelle attività didattiche, che prima erano oggetto di deliberazione» conclude Michela Manente, dirigente all’Ic Caio Giulio Cesare di Mestre.