Dalle elementari a Pordenone a Berlino: «Parlo esperanto ma mi piacerebbe conoscere il friulano»
Dalla piccola Pordenone al vasto mondo, sognando una lingua che abbatta le barriere. Andrea Loro, 40 anni, figlio di una città che ha saputo attrarre storie da tutta Italia, ha scelto di vivere in una metropoli che accoglie identità di tutta Europa, Berlino. E per farlo ha imparato, oltre all’immancabile tedesco, una manciata di altre lingue. Compreso l’esperanto, la lingua universale. Il friulano? «Non lo parlo, ma mi piacerebbe».
Dalle elementari alle Collodi, a Berlino: un passaggio che ha significato, come per molti giovani, lasciare il Noncello a 19 anni per Padova prima, Firenze poi, infine l’estero. Un lavoro nel marketing e una grande passione: le lingue. Andrea parla inglese, tedesco, francese e spagnolo a livello corrente, un po’ di portoghese. Ed esperanto.
«Mi sono sempre piaciute e ho viaggiato molto – racconta –. Già a Firenze avevo iniziato a studiare esperanto con corsi molto semplici, ma non trovavo la motivazione perché non avevo nessuno con cui parlarlo. Quando sono andato a Berlino ho invece trovato una comunità molto grande e ho approfondito lo studio. Capisco praticamente tutto, ma non lo parlo ancora benissimo».
La conoscenza di altre lingue, tuttavia, aiuta chi vuole intraprendere questo percorso. L’esperanto infatti è una lingua artificiale, creata a tavolino con «una grammatica semplicissima, si impara in una settimana» assicura Andrea. Il vocabolario nasce dall’unione di quattro o cinque lingue europee e la comprensione è abbastanza veloce.
«Mi affascina l’idea di una lingua facilissima da imparare – spiega – mentre l’inglese privilegia alcuni e toglie ad altri. All’estero questo si vede molto: secondo me crea forti disparità. L’esperanto non è così, perché è più facile e perché è per tutti una seconda lingua».
Difficile, tuttavia, che possa diventare un veicolo di comunicazione mondiale. «Non credo sia possibile, almeno nei prossimi cento anni. Però le cose si fanno anche come testimonianza o per passione».
Un obiettivo, quello dell’utilizzo dell’esperanto come lingua franca universale, talmente difficile da raggiungere da essere entrato nello stesso esperanto con un’espressione traducibile come le nostre “calende greche”: fina venko, letteralmente la “vittoria finale”, quella della diffusione universale dell’esperanto come seconda lingua. «La usiamo come battuta, per dire che non succederà mai. Ora parlare esperanto è diventata un’esperienza di comunità, che unisce persone che sono interessate al concetto di pace tramite le lingue».
A Berlino, racconta Andrea, c’è una comunità molto vivace, con diversi centri culturali in cui si fanno lezioni gratuite e incontri regolari. La produzione artistica, pur esistente, è molto limitata. Vengono tradotti libri, anche prodotta musica ma in quantità non comparabili con, ad esempio, a lingue come l’inglese.
Non si corre il rischio che una lingua creata artificialmente perda quel bagaglio di storia ed emozioni che, da sempre, caratterizza l’espressività umana? «Non è comparabile con le lingue naturali – aggiunge Loro – ma è una lingua flessibile che permette al parlante di aggiungere queste sfumature».
Quasi fosse una legge del contrappasso, in Andrea non si incontrano lingua universale e marilenghe. «I miei genitori sono arrivati a Pordenone per lavoro e io non parlo friulano – racconta – anche se mi piacerebbe molto perché sono totalmente a favore della diversità linguistica».