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Октябрь
2024

Una lettera anonima sul caso Busetto, i dubbi sul Dna trovato sulla collanina

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Spunta una inattesa lettera anonima nel caso di un omicidio dalle molte incongruenze rimaste senza risposta.

Un caso che per la giustizia si è risolto con una sentenza definitiva che ha condannato a 25 anni di carcere Monica Busetto e a 20 anni (con un processo separato) Susanna “Milly” Lazzarini, ma che per chi segue da anni il caso non avrebbe tutte le certezze che per le Corti sembrano accertate.

Un caso appeso a 3 picogrammi di Dna: una misura infinitesimale, in molti paesi, per la medicina legale.

Parliamo del brutale assassinio di Lida Taffi Pamio, l’anziana signora mestrina brutalmente massacrata nella sua abitazione, nell’ormai lontano 20 dicembre 2012: uccisa con 40 coltellate (tre lame spezzate nel corpo), il filo del decoder stretto attorno al collo, una palla di carta in bocca.

Nei giorni scorsi i legali di Busetto - gli avvocati Alessandro Doglioni e Stefano Busetto - hanno ricevuto una lettera anonima, che seminerebbe dubbi su come alcune prove sono state gestite e sulla famosa “collanina” d’oro spezzata, ritrovata a mesi di distanza nella camera da letto di Busetto, che di Pamio era vicina di casa.

La collanina dove la prima consulenza medico legale disposta dalla Procura non aveva trovato alcuna traccia di Dna e che - invece - inviata mesi dopo al Laboratorio della Polizia scientifica di Roma insieme alle altre prove raccolte, aveva rivelato quei frammento di Dna che gli agenti hanno ricondotto alla vittima.

Per la difesa ci sarebbe stata “contaminazione” tra prove, per i giudici è la “pistola fumante” che ha inchiodato Busetto.

Ora gli avvocati lanciano un appello: «Chi ha scritto la lettera anonima è una persona che ha seguito da vicino le indagini e che conosce benissimo il fascicolo. Non ha semplicemente letto gli atti, deve aver partecipato a qualche passaggio tecnico. Alcune delle cose scritte sono così puntuali, che abbiamo dovuto verificarle negli atti perché non le ricordavamo. Parla del reperimento della collanina, scrive di averla ricevuta, descrive tutti i passaggi di mano e mette i nomi delle persone che l’hanno gestita e come è stata gestita questa prova. Siamo basiti: non si tratta di un mitomane, ma di una persona coinvolta personalmente, che sembra volersi togliere un peso. C’è qualcosa che secondo lui non è stato fatto dolosamente, ma forse in buona fede. Vorremmo che chi ci ha scritto ci spiegasse meglio».

Di più gli avvocati, in questa fase, non vogliono dire, ma l’appello è a farsi avanti con loro: «Non porteremo questa lettera in Procura, ma abbiamo bisogno di capire, vorremmo che chi ha scritto ci contattasse e dicesse qualcosa di più, prima che sia troppo tardi».

I legali sono, infatti, in attesa che la Cassazione fissi la data del loro ultimo ricorso: hanno impugnato il “no” della Corte di Trento alla revisione del processo. Per i giudici trentini, mancherebbe una nuova prova che scagioni Busetto oltre ogni dubbio.

Invece i dubbi hanno costellato lo svolgersi di questo caso, molto controverso. Mentre Busetto si è sempre detta estranea al delitto e non sono state trovate sue tracce biologiche sulla scena del crimine - anche se, sì, con la vicina non andava molto d’accordo e non ha avuto parole affettuose nei suoi confronti, dopo l’omicidio, parlandone al telefono (intercettata) con la sorella - due anni dopo, nel dicembre 2014, Susanna “Milly” Lazzarini uccise, strozzandola, Francesca Vianello, anziana amica della madre dalla quale aveva ricevuto un prestito di 100 euro che non voleva restituire.

Lazzarini, spontaneamente, raccontò - prima al figlio e poi agli investigatori - di essere stata lei, e lei da sola, ad uccidere anche Lida Taffi Pamio, altra amica con la quale la madre giocava a carte. Sua - di “Milly” Lazzarini - la traccia di saliva trovata mischiata a quella della vittima e rimasta per anni “ignota”.

Dopo tre interrogatori durante i quali ripeté sempre la stessa storia, nonostante il pressante insistere degli investigatori con domande su Monica Busetto - escludendo di conoscerla e sostenendo di aver agito da sola - improvvisamente al quarto interrogatorio cambiò versione. Così come al quinto.

Chiamò in causa Busetto dicendo prima che si trovava già in casa, infine che si era presentata alla porta e assistendo all’omicidio aveva deciso di parteciparvi, addirittura sferrando il colpo mortale finale. Racconti che i giudici alla fine non hanno preso in considerazione, ritenendo però fondamentali quei tre picogrammi di Dna sulla collanina d’oro.