I Balcani cercano alternative al gas russo
Con difficoltà, una regione intera cerca gradualmente di affrancarsi dalla dipendenza energetica da Mosca, che è anche politica. L’impegnativo processo comincia a dare risultati, anche grazie a uno dei maggiori progetti sul fronte dell’energia in Europa e al ruolo sempre più attivo di Washington. Progetto come il grande rigassificatore di Alessandropoli, nel nord della Grecia, opera immaginata quindici anni fa, che ha subito una forte accelerata nella sua costruzione negli ultimi due anni, proprio dopo l’aggressione russa all’Ucraina. Rigassificatore che è entrato a tutti gli effetti in esercizio questo mese.
Perché Alessandropoli è così importante? Perché si tratta di una vera e propria porta per il Gnl non solo per la Grecia, ma per l’intera Europa sudorientale e soprattutto per quei Balcani che rimangono – forse ancora per poco – dipendenti da Mosca. Mappe e numeri d’altronde parlano chiaro. Il rigassificatore, infatti, è composto da un gasdotto sottomarino e da uno terrestre, che collega l’unità galleggiante al sistema greco di trasporto del gas naturale e ha una capacità di ben 5,5 miliardi di metri cubi all’anno e tallona dunque i primi dieci impianti in Europa.
Ma è soprattutto il luogo della sua costruzione e i collegamenti esistenti e in via di realizzazione a rendere Alessandropoli un reale punto di svolta. Alessandropoli può infatti immettere il suo gas nel gasdotto Tap, verso Albania e Italia, ma soprattutto contribuirà agli approvvigionamenti di un’area vasta. Prima, Macedonia del Nord e Bulgaria poi anche Serbia, Moldavia, Ucraina, Ungheria e Slovacchia, andando ad alimentare quello che è stato battezzato il “Corridoio verticale” del gas.
Il gas – non russo – arriverà invece ad Alessandropoli su navi-cisterna da Stati Uniti, Norvegia, Egitto e Qatar e sarà «di enorme importanza per i Paesi dell’Europa sudorientale che vogliono diversificare le forniture e staccarsi dal gas» di Mosca, ha spiegato Kiril Ravnachki, del colosso bulgaro Bulgatransgaz, che detiene un 20% del rigassificatore, quota uguale a quella di GasLog, Depa Commercial e della greca Desfa. Parliamo di un «progetto realmente strategico», ha affermato in una riunione a Salonicco il vicesegretario Usa alle Risorse energetiche, Geoffrey Pyatt, che dal 2016 al 2022 è stato ambasciatore ad Atene e ha giocato un ruolo chiave nel premere a favore del rigassificatore, inaugurato non a caso anche alla presenza «del presidente Vučić, del presidente bulgaro e del premier macedone», leader di Stati che beneficeranno di «un progetto regionale», che copre tutta l’area «fino all’Ucraina».
Ma c’è anche altro da registrare, nella corsa all’indipendenza da Mosca. Ed è una mossa estremamente significativa, perché riguarda ancora una volta la Serbia, il Paese nei Balcani più vicino alla Russia. Ma tra i due Paesi l’affinità sembra iniziare ad appannarsi. Gli Usa sosterranno Belgrado nel suo tentativo di staccarsi dal «giogo energetico» russo, ha promesso il sottosegretario alla Crescita economica di Washington, José Fernandez, in visita nella capitale serba, dove a settembre è stato inoltre firmato un contratto per far affluire più gas azero. «Alcuni Paesi hanno imparato a proprie spese che Putin trasformerà la dipendenza energetica dei paesi in un’arma», ha aggiunto Fernandez, evocando cooperazione con Belgrado su rinnovabili e forse anche per velocizzare i collegamenti con Alessandropoli. —
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