Susanna Tamaro e il cappotto blu: «Lo presi pensando: un giorno sarò famosa»
Un cappotto blu, di grande eleganza, con una lunga storia alle spalle. Stiamo parlando dell’abito amato di Susanna Tamaro: un capo d’abbigliamento unico, non per il suo valore economico, quanto per l’importante significato che l’autrice di “Va’ dove ti porta il cuore” gli attribuisce. Per la scrittrice triestina, infatti, rappresenta la speranza di vedere i propri sogni realizzati.
Da pochi giorni il cappotto è esposto negli spazi di ITS Arcademy in via Cassa di risparmio, dove il pubblico potrà ammirarlo fino ai primi giorni di novembre.
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«Quando lo acquistai – racconta Tamaro – risiedevo già da anni a Roma, e avevo una vita molto difficile perché sono sempre stata incapace di guadagnarmi i soldi per vivere. Mi vestivo sulle bancarelle, non con gli abiti che avrei voluto, ma con quelli che mi potevo permettere. Un giorno, però, passai davanti a un negozio in centro e vidi esposto questo cappotto, fatto a Salisburgo, in super saldo. Ne fui attratta in maniera quasi inquietante. Mi dissi: “Un giorno sarò una persona famosa e avrò bisogno di un cappotto blu”, perché nel mio immaginario un po’ infantile il cappotto blu era il massimo della distinzione!».
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Facendo sacrifici immensi, la scrittrice riuscì a comprarlo. Lo portò a casa, lo ripose in una plastica e lo mise nell’armadio... dove rimase per anni. «Quando poi sono diventata famosa l’ho usato nelle occasioni in cui serviva. Io, comunque, non faccio tutta questa vita mondana, perciò il cappotto passa perlopiù il suo tempo nel guardaroba. E ogni volta che apro l’armadio non posso fare a meno di guardarlo con una certa venerazione, quasi con il timore di rovinarlo».
Ora il cappotto si trova all’interno di una bacheca nel museo della moda di Trieste: l’abito è entrato a far parte della mostra “Le molte vite di un abito”, a cura di Olivier Saillard e filosofo Emanuele Coccia. L’esposizione si propone di raccontare le storie di alcuni abiti speciali: ogni indumento narra la storia del corpo che lo abita e ogni guardaroba è un archivio personale. La mostra stimola il visitatore a esplorare lo spazio che separa l’abito indossato da quello celebrato, riflettendo sul valore che i vestiti acquisiscono in diversi contesti: dalla vetrina all’armadio, indossati, consumati, esposti, abbandonati oppure amati.
A volte, un abito può diventare addirittura una sorta di reliquia, nel caso di Susanna Tamaro un simbolo. Si è caricato dell’energia di un periodo della sua vita fino a rappresentare un sogno, un obiettivo raggiunto. E quasi non serve più indossarlo, perché guardarlo è quanto basta per attivare un ricordo. Susanna Tamaro è felice che il suo abito sia esposto in ITS Arcademy anche per un altro motivo. «Ormai – spiega la scrittrice – viviamo in un mondo in cui il consumo di abbigliamento è diventato un po’ angoscioso. Da una parte ci sono abiti alla moda, eccessivamente costosi. Dall’altra c’è un mercato estremamente economico, quello dei vestiti usa e getta. Questa mancanza di una cultura dell’abbigliamento mi fa tristezza, perché gli abiti fanno parte della storia di chi li indossa, contribuiscono a definire la memoria della nostra vita. Io nell’armadio ho ancora i miei maglioni delle medie!». —
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