ru24.pro
World News
Октябрь
2024
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31

Dal “Generale” di Vannacci alla “Avvelenata” di Meloni e Gasparri: la musica libera che turba le prefiche di sinistra

0

«Per le vie/per le strade/per le piazze per i campi/ un amore sta crescendo/un clamore sta aumentando…»

Il duo Salvini Vannacci che canta la canzone Generale di Francesco De Gregori riporta in auge l’eterno tema della rivendicazione politica della musica di genere, mentre alla Schlein non resta che replicare, ovviamente in chiave sottolineatamente più moderna e giovanilistica, rappando con quella simpatica cariatide di J-Ax degli Articolo 31.

 

La reazione della conventicola sinistrorsa è, in entrambi i casi, quella prevedibile di sempre: indignatissima dello sfregio alla canzone culto delle feste liceali di fine anno e dei falò di ferragosto nel primo; benedicente nel secondo – “ma quanto è giovane la Schlein, sa anche rappare”, anche se non particolarmente bene – a stendere un sudario impietoso sulle eventuali aspirazioni da trapper, hai visto mai, magari in tedesco le riesce meglio.

 

La polemica è comunque annosa: periodicamente si assiste alle dichiarazioni di guerra contro gli sconfinamenti delle rigide regole di appartenenza di molti cantanti e musicisti, mentre non i migliori tra loro sono quelli patentemente schierati, dato che in genere più il messaggio veicolato appare implicito, meno il prodotto artistico è interessante. Tuttavia, ciò che fa più sorridere è la periodica accusa di appropriazione che una certa sinistra svaccatamente culturale rivolge a chi fa della musica valore aggiunto universale, vedi lo sdegno culminato qualche anno fa nel famoso manifesto commemorativo di Rino Gaetano, tra l’altro graficamente molto riuscito, ad opera di CasaPound: i cantautori, si sa, sono roba di sinistra, come osavano i nipotini militanti del poeta, commemorare l’icona cantautoriale più anticonformista, caustica e ironica della musica italiana?

Ieri come oggi, la polemica che si riesce a montare sul banale sorprende sempre, ma certuni hanno il complesso della prefica, devono comunque lamentarsi sempre un tot per portare a casa la giornata, necessariamente uggiosa anche a giugno. La realtà vuole che la buona musica, per la sua valenza universale, in genere ha sempre superato confini e steccati, affratellando nell’ascolto anche i più riottosi nemici politici. Non è necessario rivangare i ricordi delle conquiste liceali o magari delle vecchie sezioni del Fronte della Gioventù, dove le chitarre suonavano sì canzoni della famigerata per alcuni suoi picchi non proprio godibili, ma comunque amata “musica alternativa”, ma anche i successi cantautoriali dell’epoca, De Gregori assieme a Battisti, persino il rossissimo Guccini, qualche anno fa intonato a memoria da un sorprendentemente melodico Gasparri in duo con una sorridente Meloni, a riprova che le canzoni hanno una loro anima indipendente dalle idee più o meno politiche dei loro autori.

 

Vero anche che, in mancanza di musicisti che dichiaravano appartenenza alla propria area politica – anni addietro anche i pochissimi simpatizzanti per qualcosa di diverso dalla Terza internazionale ben si guardavano di farlo trapelare per evitare boicottaggi e rescissioni di contratti – si preferiva comunque ascoltare canzoni, farsi ispirare da testi coinvolgenti e/o sonorità affini, piuttosto che rimanere senza musica, in special modo se la suonavi, se facevi parte di una band, che inevitabilmente, assieme ai suoi pezzi, proponeva cover di altri, non sempre schierati dalla tua stessa parte. Faceva parte della gioco, della possibilità di gioire suonando insieme, anche canzoni di altri, che comunque veicolavano messaggi condivisibili o emozioni universali.

E allora, con buona pace dei sempre benpensanti con il ditino anchilosato, ai Raduni della Contea, alle Tane delle Tigri, alle feste Atreju, si ascoltavano brani anche “degli altri”, si cantava la loro musica, magari con una grinta e un arrangiamento diversamente energico o manifestamente ironico, si canta “Brigante se more” o anche “Se il vostro maggio ha fatto a meno del vostro coraggio”, per non parlare delle canoni americane, inglesi o francesi, che piacevano a prescindere, che erano di chi si emozionava sentendole, destra, sinistra o estremo centro alto che fosse.

 

Più recentemente, questo giugno a Roma, al concerto commemorativo dei quarant’anni dei punkissimi emiliani Cccp di Giovanni Lindo Ferretti, compreso di “Annarella” soubrette del popolo e tanto di bandiera rossa del Pci falce e martello, sventolata sul palco dopo il recupero ad uso scenico da qualche scantinato, c’era nel pubblico una quantità di quella che qualcuno definirebbe “fascisteria” varia da sembrare quasi un concerto degli Zetazeroalfa, qualche giovane onorevole leghista e molti governativi, tantissimi Fratelli d’Italia, che hanno passato la mezz’ora prima del concerto a riconoscersi e salutare amici con la stessa passione musicale.

 

Per altri versi, molti giovani a sinistra di attitudine punk hardcore, in contrasto con le scomuniche dei vari capetti, non fanno mistero di apprezzare persino i Bronson, gruppo romano di genere non proprio simpatizzante della segretaria italo-svizzera, che non fa mistero della sua militanza politico culturale, anche se la musica che suona, testi in italiano, è nata e cresciuta oltreoceano. All’osservatore smaliziato, magari cultore di musiche di generi meno commerciali, che nel passato si infilava persino in qualche centro sociale di quelli brutti per ascoltare un gruppo che gli piaceva, fa sorridere il clamore mediatico inscenato sulla presunta appropriazione musicale, quasi come assistesse a un brutto concerto: magari gratis, ma suonato senza voglia e cantato con l’autotune spento, in stanca replica perenne.

L'articolo Dal “Generale” di Vannacci alla “Avvelenata” di Meloni e Gasparri: la musica libera che turba le prefiche di sinistra sembra essere il primo su Secolo d'Italia.