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L’intervista. Parlato: “Bocchino nel suo libro ha ragione, il conservatorismo di Meloni è l’unica strada”

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C’è un fiume sotterraneo di destra che scorre nelle vene dell’Italia e non da oggi che Fratelli d’Italia, dopo una lunga rincorsa (dall’1,9 al 28%) ha conquistato la leadership della nazione e siede stabilmente a Palazzo Chigi da due anni. Giuseppe Parlato, docente di storia contemporanea e presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, che sta lavorando a un libro sulla scambio di lettere del 1951-52 tra Pettinato, uno dei massimi esponenti della sinistra missina, con Pietro Nenni, riflette con il Secolo d’Italia sull’ultimo libro di Italia Bocchino “Perché l’Italia è di destra”. Titolo intrigante e di sicuro impatto, corroborato da riflessioni  e approfondimenti storici che si rintracciano in tutto il volume edito da Solferino. È un viaggio a ritroso che parte dalle elezioni del 1948, arriva alla svolta di Berlusconi del ’94 e procede fino alla vittoria della destra nel 2022.

L’Italia può dirsi di destra? Oggi è un dato elettorale, culturale, sociale, forse antropologico. Ma non è sempre stato così

Vede, c’è una destra che nasce prima del fascismo ma di cui pochi parlano. È la destra storica, che governa dal 1861 al 1876, alla quale si devono molte cose positive, penso alla costruzione delle infrastrutture, alle ferrovie per collegare Nord e Sud. Insomma ha creato le condizioni perché lo Stato unitario potesse vivere. C’è un elemento importante, Antonio Salandra da capo del governo tra 1913 al 1914 aveva pensato di creare un cartello che lui chiamò “destra nazionale”, che riunisse i nazionalisti, i cattolici e i liberali conservatori, proprio il nome che prese il Movimento sociale italiano nel 1973.

Il progetto però non prese mai corpo. Chi lo fece saltare?

Quello di Salandra saltò perché ci fu la guerra e poi il fascismo, che ha forti componenti di destra e di sinistra, come quelle movimentiste, rivoluzionarie e socialiste. È un movimento sintetico che viene dalla sinistra risorgimentale. In realtà l’Italia ha un governo di destra con la destra storica. Dopo la seconda guerra mondiale anche la Democrazia cristiana impedì la nascita di una destra, non a caso il primo governo di destra è con Berlusconi quando è appena naufragata la prima Repubblica.

Quindi la Dc, la Balena bianca, il partito Stato ha funzionato da diga anti-destra oltre che anti-sinistra?

Certo. Il Msi non riesce a sfondare, non solo  perché ancora legato al fascismo, ma perché sia il fascismo sia la Dc sono, in modo diverso, due “partiti-tutto”. Il fascismo contempla al suo interno l’estrema sinistra e quelli che inseguono l’Ancien régime. La Democrazia cristiana lo stesso:  ha una sinistra di base molto vicina al Pci e una destra che invece è vicina al Msi. La Dc taglia l’erba sotto i piedi alla destra politica che resta residuale. Parliamo di due movimenti sintetici, come dicono i politologi, che contemplano tante componenti diverse tra loro. Non a caso la Dc è l’unico partito della prima Repubblica a non aver conosciuto scissioni, perché, avendo ali così larghe, riusciva a compensare tutte le diversità.

Con Berlusconi abbiamo il grande spartiacque, il pentapartito alle ceneri, il Msi ‘sdoganato’, il centrodestra per la prima volta al governo, il bipolarismo. Quanto l’attuale stagione politica e la destra di Giorgia Meloni è erede di quella scintilla?

Dal 1993 quando Berlusconi vince le elezioni al 2022 quando nasce il governo Meloni abbiamo un trentennio ininterrotto di presenza di una forza di centrodestra, è una coalizione che tiene, che potremmo chiamare di una destra plurale. Lo pensava anche D’Alema quando diceva che l’Italia è un paese moderato. Nel primo centrodestra c’era la forte anomalia della Lega Nord secessionista, ora la Lega di Salvini non è più così. La coalizione sostanzialmente è sempre la stessa, tenuta insieme dal senso della Nazione e dello Stato, i valori della vecchia destra storica.

Bocchino nel suo libro invita a trovare le modalità per uscire dall’eredità del fascismo

Ha ragione, bisogna uscirne ma superando il fascismo attraverso una destra che non è il partito-tutto di cui parlavamo. Giorgia Meloni lo sta facendo, non ambisce al partito unico. Il campo è quello della coalizione unita da un collante comune. Non farà mai un’alleanza con il Pd, che fascismo e Dc avrebbero forse fatto.

C’entra il bipolarismo che non contempla una maggioranza assoluta ma due schieramenti?

Certo, Meloni sa bene che la Seconda Repubblica nasce sull’idea del bipolarismo, che è durato 30 anni con alterne vicende. E proprio qui è lo stallo di Schlein, che ha il problema di Conte che ha impedito finora un’alleanza organica. La destra ha una sua autonomia di pensiero ricollegandosi a quel conservatorismo nazionale dei primi 15 anni dell’unità d’Italia. Non ha quindi senso parlare di fascismo.

Eppure la sinistra continua ad agitare lo spettro del ritorno al Ventennio e della deriva plebiscitaria che si nasconderebbe dietro il premierato

La sinistra non può fare altro che mettere il bastone tra le ruote, è logico quando non si hanno argomentazioni valide. Invece bisognerebbe lasciare l’esperienza fascista agli storici. Personalmente la svolta impressa da Meloni piace molto perché ridefinisce le famiglie politiche e abbandona il modello del partito onnicomprensivo. E quindi impedisce i rischi di un sistema autoritario.

Quanto può spingersi elettoralmente Fdi in questo quadro bipolare, certo lei non è un indovino…

Ovviamente non lo so. Ma posso dire che nel sistema onnicomprensivo, autoritario o democratico che sia, il partito di maggioranza mira ad avere il massimo di estensione, la Dc faceva i governi di volta in volta con forze molto diverse, questa logica non dovrebbe sovraintendere al nostro momento. Perché in realtà questo sistema permette davvero al popolo di decidere. Se Fratelli d’Italia va oltre il 30 per cento vuol dire che ha ben governato, che il popolo apprezza.

Che rapporto ha la premier con il popolo?

Un rapporto molto interessante, mediato dal Parlamento. È un legame forte, ma non è populismo. La strada è quella di  allargare il campo del conservatorismo, non “acchiappando” pezzi di Parlamento ma di Paese. Non amo la definizione di populismo,  un capo carismatico che parla con il popolo e si disinteressa dei corpi intermedi, che invece sono fondamentali per la tenuta di una democrazia.

E Meloni sta interpretando con successo questa nuova stagione?

La premier sa bene che il suo è un governo di coalizione, che ha due vantaggi, essere plurale e di stare insieme da 30 anni. Una condizione che a sinistra non c’è. Il Pd, al contrario del centrodestra, ha una a vocazione maggioritaria tanto che è la sintesi delle due principali forze politiche che si sono fatte la guerra per 50 anni  (Dc e Pci). Sono un’alleanza di potere. Il loro grosso handicap è quello di non accettare il verdetto elettorale perché pensano che esista un’Italia migliore, la loro, e così perdono il consenso delle periferie e prendono i voti nella  Ztl.

È il complesso di superiorità di cui parla Ricolfi, si sentono ontologicamente superiori diventando respingenti e antipatici? 

Vede la sinistra ha una visione ortopedica della politica, crede di dovere rimettere le cose a posto. Viene in mente la  battuta di Giolitti che diceva “se devo fare un vestito a un gobbo, devo fare un vestito con la gobba”. La sinistra invece pretende di fare un vestito dritto a un gobbo. È una visione dove si perde il contatto con il popolo. Si configura un’Italia dei migliori, dei premi letterari, dei circoli riservati. È questo il vero problema della sinistra che non ha certo risolto con la Schlein.

Torniamo il libro di Bocchino, per questo l’Italia è di destra?

Il libro è interessante e ha un titolo molto efficace e solletica una posizione prospettica verso il centro,  non si può pensare a un progetto culturale che parta dal vecchio Msi emarginato in fondo a destra. L’obiettivo deve essere quello della destra storica che voleva aprirsi ai liberali e ai cattolici. Il percorso culturale è quello appunto del conservatorismo nazionale, che è l’unico modello politico esportabile fuori dall’Italia. Bisogna recuperare culturalmente questo nocciolo fondamentale per costruire il domani. Se dovesse venire meno questa linea la coalizione imploderebbe.

Ed è una scelta consapevole per Giorgia Meloni o una necessità, un maquillage imposto?

Dire si sì,  lei è anche la leader dei conservatori europei e ha il suo peso. Quanto questo sia accolto profondamente dal popolo di Fratelli d’Italia non so. Non sarebbe male fare “lezioni aggiuntive”, avviare una formazione su questo tema. Stiamo parlando di un partito che in 10 anni va dal 2 al 30 percento. Tutto  è cambiato e se c’è uno zoccolo duro che difende il vecchio modo di pensare si tratta di  un atteggiamento più sentimentale che politico. Il Msi non parlava di conservatorismo perché lo immaginava come una difesa dei privilegi e della casta, invece è un modello politico che si oppone al progressismo con altri valori guida. Intendo la famiglia, la natura, il senso dello Stato e della Nazione, della con-possibilità tra le nazioni in nome del principio della nazionalità che non è nazionalismo.

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