In ricordo di Antonio Zupi
Oggi è un giorno molto triste per me e per il Club Scherma Cosenza. Un club fondato 30 anni addietro che ha visto crescere tantissimi giovani sulle pedane di scherma. Tra questi vi era anche il carissimo Antonio Zupi che oggi abbiamo accompagnato nel suo ultimo viaggio. In una grande chiesa cosentina vi erano così tante persone e tantissimi giovani che fanno comprendere quanto era amato il nostro Antonio. E le parole del Maestro Paolo, nel ricordare l’arrivo e la crescita di Antonio tra di noi, aprono la mente alla bellezza e alla purezza dell’amicizia vera.
Ricordo un Antonio che ha sempre avuto il sorriso come espressione unica e inconfondibile oltre che prodigo di consigli ai più giovani i quali lo hanno sempre visto come un esempio da seguire. Aver assistito a manifestazioni di felicità e di apprezzamento al suo ritorno sulle pedane, lascia capire quanto grande sia stato il suo carisma.
Antonio era un riferimento e un esempio di lealtà e di rispetto.
Un esempio che nel nostro credo sportivo è la regola assoluta.
Ringrazio tutti gli Atleti del Club che insieme ai Maestri, ai Veterani, ai Genitori e ad alcuni Alti Rappresentanti della Federazione Italiana erano presenti in questa triste giornata.
Tutto ciò ha consentito di sottolineare quanto “grande” era Antonio.
A tutti va il mio più caro abbraccio così come sono vicino ai familiari. Buon viaggio Antonio
Luigi Perri, presidente del Club Scherma Cosenza
Negli scorsi giorni, il sito Federscherma Calabria ha pubblicato una bella intervista di Jessica Borrello al nostro M. Paolo Bruno.
La riportiamo qui per ricordare Antonio Zupi.
Paolo, tu che lo hai vissuto e cresciuto sin da quando era ragazzino, descrivi un po’ come era Antonio.
Antonio era una persona calma, pacata, buona, generosa, gentile, di una bontà eccelsa… aveva tutti i pregi di questo mondo. La parola giusta è che era bello, in tutto e per tutto, non solo fisicamente. Con lui parlavamo di qualsiasi cosa.
Ti ricordi il suo esordio nella scherma e il suo primo approccio in sala?
Certo, mi ricordo tutto. Antonio ha iniziato che era ragazzino, aveva sei-sette anni. Io ne avevo quattordici ed era il periodo che stavo iniziando a fare il Maestro. Quindi abbiamo iniziato insieme, lui come atleta e io come Maestro. Era il ragazzino pestifero della situazione: nelle due ore di allenamento stava un’ora e mezza in punizione e mezz’ora a lavorare. Credimi, tutti i giorni! Era vivace, fantastico. Poi ho cominciato a fare il Maestro vero e proprio accompagnando i ragazzi alle gare, ed erano solitamente lui, Giuseppe Pastore e Andrea Monteforte. Lui fondamentalmente vinceva anche. Magari stava vincendo un assalto 4-0 al girone e io “bravo Antonio, adesso mi raccomando, rimani dietro, parata-risposta” e lui diceva “sì, sì!” salvo poi correre in attacco. E io “Antonio stai calmo”. Arrivava il quattro pari e poi riusciva a mettere quella parata e risposta. Standard. Da lì credo sia nato anche il soprannome Zuperman, da quella voglia di andare sempre in attacco. Faceva veramente di tutto. Lui stravinceva e poi rischiava di perdere.
Qual era il suo temperamento in gara?
Aggressività pura (ride ndr)
Che però era forse l’opposto di come era fuori dalla pedana.
Sì. Lui aveva un agonismo dentro, veramente da atleta di alto livello. Eccezionale da questo punto di vista. Poi da grande ha iniziato ad usare anche un po’ la testa, nonostante questa sua foga, grazie al mio aiuto. Infatti l’unico rimpianto che ho è la finale che abbiamo perso contro Daniele Bilotta 15-13 (Prova di Qualificazione Assoluti del 25 aprile 2021 ndr) dopo una gara eccezionale fatta sulla pazienza, ossia l’esatto contrario suo, e su assalti difficili che lui perdeva e ha rimontato. Alla fine mi ha detto “Paolì sei stato eccezionale, io non ho mai fatto una gara così, non so come hai fatto a tenere a bada i miei istinti. Credo di aver fatto la gara più bella della mia vita”. E io ho detto “mi dispiace solo che quei due punti non siamo riusciti a metterli”. Forse la gara più bella che io stesso ho vissuto nonostante i grandi risultati ottenuti (il Campionato Italiano con Giulia, il Campionato vinto da Dodaro e vissuto a bordo pedana). Ma quella gara mi è rimasta nel cuore, non ti so dire di preciso il perché. Forse perché è “maturata” e ci ho visto il ragazzino Antonio che a 25 anni era finalmente maturo ma aveva comunque bisogno di me. Siamo arrivati a fare quella finale dopo anni che lui non tirava più, aveva ripreso da poco. Una gara eccezionale.
Quali erano i suoi progetti riguardo la scherma? Ricordiamo che era anche Istruttore e Arbitro.
Lui era anche un ottimo sparring partner in palestra. È passato da essere un semplice allievo a prendere il titolo di Istruttore regionale, aiutandomi nel fioretto ed anche un po’ nella spada. Poi per un po’ di tempo ha lasciato, ha provato a fare anche l’Arbitro e dopo ha ripreso a fare l’atleta. Lui amava tirare. Questo non gli ha sicuramente impedito di essere prodigo di consigli con i compagni: era sempre pronto a dare manforte e a dire la sua. C’è un post di Federica Tarsitano in cui lei racconta che lui l’ha sempre incitata a tornare dicendole “ti sto aspettando in pedana, devi tornare anche tu”. Oppure Gustavo Valente che mi raccontava di quando restava in sala fino a tardi per tirare con lui, che era uno dei grandi. E lui veniva sempre ed era sempre pronto a tirare con tutti. Era difficile che lui dicesse “no guarda non ce la faccio più” si attaccava alla pedana e fino alle 9 di sera continuava a tirare.
Nella mia vita non sono mai riuscito ad inculcare ai miei atleti quell’amore che io ho per la scherma. Lui ce l’aveva di suo. A me dei risultati importa, ma più di tutto mi importa stare in palestra con i miei atleti. E per lui la stessa cosa: l’importante era tirare. Voleva stare su quella pedana.
Forse per quello hai vissuto e sentito così tanto quella gara lì, persa in finale con Daniele, molto più di altre e nonostante Antonio abbia vinto in passato sia la Coppa Italia di fioretto a Platania nel 2016 e, prima ancora l’Interregionale Ragazzi/Allievi a Trani nel 2009.
L’unico rimpianto che ho viene dal fatto che ho portato molti miei atleti a vincere una gara da grandi. Antonio ha fatto una sfilza di secondi posti. Non ha mai vinto una regionale (di spada ndr) perché perdeva sempre in finale con uno del Club. Alla prima gara in cui sono riuscito a seguirlo fino alla fine e non se la contendeva con uno dei nostri ha perso 15-13. Questo è il mio piccolo rimpianto. Niente di più.
Rimpianto ma al tempo stesso, in realtà, soddisfazione per le parole e l’appagamento che ti ha espresso alla fine.
È stata la soddisfazione dopo tutte quelle volte che mi ha fatto arrabbiare da ragazzino (ride ndr). È stato perfetto, unico. Non so spiegarmi.
Come si è evoluto il vostro rapporto nel corso del tempo?
Lui è stato allievo, amico, compagno, collega e ad un certo punto mi è stato vicino in un periodo molto difficile della mia vita. Uscivo con lui, mi è stato amico. E quando è tornato poi in palestra mi sono reso conto che lui veramente per me era come un figlio. Sentivo un affetto nei suoi confronti che forse è pari a quello che provo per mia figlia. Non ho mai visto un ragazzo così buono e perfetto. Era unico nel suo genere.
Quando fai il Maestro ci sono dei momenti bui e pesanti, ma in questo ruolo dobbiamo dare sempre il meglio di noi stessi, anche forzandoci a volte. La verità è che nessuno sa quello che succede tra un allievo e il Maestro: la complicità, le confidenze… Non lo sanno neanche i genitori. Si instaura un legame che va al di là dell’essere amico e genitore. Io dei miei allievi so tutto.
È un privilegio e allo stesso tempo una grossa responsabilità quella del Maestro, parte anche della sua bravura e della sua empatia. E questo lo hai evidenziato grazie al tuo rapporto con Antonio, con cui siete praticamente cresciuti insieme.
È diventato quasi un figlio. È un rapporto che instauro un po’ con tanti dei ragazzi ma con lui era particolare, non c’era bisogno di parlarci.
Hai un aneddoto o episodio che ti piace ricordare, non necessariamente legato alle pedane?
Ce ne sarebbero tantissimi. Forse il più forte e bello che ho, per farti capire la nostra complicità, riguarda il periodo in cui si andava a fare lezione a Paola (CS). Andavamo alternati. A volte io e Marco (Perri ndr); altre lui e Antonio e altre ancora io e Antonio. Un giorno di Aprile era la prima volta che andavamo da soli e pensammo di farci un bagno anche se Marco ce lo vietava dicendo che saremmo caduti malati. Chiamo Antonio e dico “Marco non c’è, portati un telo da mare”. Siamo andati. Tuffo in acqua, siamo usciti morti di freddo e siamo andati a far lezione. Poi siamo tornati e il giorno dopo, entrambi malati, abbiamo confessato tutto a Marco. Abbiamo postato una foto e lui si è arrabbiato come una bestia. Ovviamente poi lo abbiamo rifatto. Penso che Antonio non abbia mai detto di no a nulla.
Sono onorato di aver vissuto insieme a questo ragazzo. Unico nel suo genere.
Fonte: Federscherma Calabria
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