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Il racconto dei Caschi Blu Unifil attaccati da Israele: “Hanno sparato deliberatamente su di noi. Non vogliono testimoni scomodi”

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Le basi 1-31 e 1-31 della missione di pace Unifil sorgono, isolate, sulla cosiddetta Linea Blu che divide Israele dal Libano. La prima sorge in mezzo al nulla, qualche chilometro a sud del villaggio libanese di Alma el Chaab, nel distretto di Tiro. Dalla seconda, qualche chilometro in direzione ovest, si vede invece il mare. Impossibile scambiare gli avamposti per qualcosa di diverso: si ergono lì, in mezzo al nulla, con le grandi pareti bianche che riportano la scritta azzurra UN (United Nations). Va da sé che, dopo i ripetuti avvertimenti di Tel Aviv all’Onu di lasciare campo libero alle sue truppe, gli spari di giovedì sulle loro basi hanno un solo obiettivo: eliminare testimoni scomodi.

Sono proprio i componenti del contingente a guida italiana a raccontarlo sotto anonimato. L’attacco di Israele alla missione Unifil ha l’obiettivo di “costringerla a ritirarsi” per non avere “testimoni scomodi” in vista di “pianificazioni future” in Libano, hanno spiegato qualificate fonti della sicurezza che seguono il dossier mediorientale riportando la lettura che Unifil dà dell’attacco. “In questo momento l’unica cosa che possiamo fare è proteggerci – raccontano invece militari italiani impegnati sulla Linea Blu, confine tracciato dalle Nazioni Unite per evitare nuove invasioni israeliane in Libano – Quando gli spari nella base sono arrivati eravamo nei bunker. Restiamo nelle nostre basi a fare il nostro dovere, nel perimetro della nostra sicurezza, fin quando ci sarà consentito dall’Onu e dalla Difesa”.

“Eliminare testimoni scomodi”. Non è un caso che i proiettili di Tel Aviv abbiano mirato all’entrata del bunker dove sono rifugiati i soldati italiani, danneggiando i sistemi di sorveglianza e di comunicazione della base, e su chi in quel momento si trovava di guardia. Ossia gli occhi e la bocca della missione. Lo spiega un Casco Blu dell’Onu sentito dall’Ansa: “Ero sotto la torretta. C’è stato un primo colpo che ci ha sfiorato. E poi quello che ha preso in pieno il posto di osservazione – ha raccontato il soldato italiano – Non è possibile che sia stato un errore. Il carro armato ha puntato deliberatamente su di noi”.

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