Alberto Mondi, il veneto star della tivù in Corea
Camminare con lui per Seul, ti fa vivere di luce riflessa. È un po’ come sentirsi d’improvviso delle star. In una città di dieci milioni di abitanti, non ce n’è uno che non conosca Alberto Mondi, il volto italiano in Corea, influencer, conduttore, youtuber e one man show che ha inventato un nuovo modo di stare sotto i riflettori e arrivare al grande pubblico, conquistando una nicchia inesplorata grazie alla padronanza perfetta di una lingua complessa con la quale ha aperto una finestra sull’Italia.
A sentirlo parlare, sembra un gioco da ragazzi, iniziato senza pretese e ancor meno aspettative, per amore della giovane coreana della quale si è innamorato in Cina poco più che ventenne e che lo ha portato in Corea la prima volta. Ma se recensisce un locale veneto, è capace di spostare centinaia di migliaia di coreani e fargli prendere un aereo per andare a scoprirlo.
Il meeting point a Seul è in piazza Sejong, nel cuore della capitale. Alberto arriva a piedi. Maglietta bianca, scarpe da ginnastica.
«Sono truccato, perché vengo dal lavoro» spiega. Mentre si avvicina i coreani lo fissano, gli sorridono, fanno gesti di saluto e si inchinano. Lui li ringrazia uno a uno, risponde, si inchina a sua volta. I più coraggiosi, soprattutto donne, chiedono foto in ogni genere di posa, e lui si concede. Eppure, nonostante tutta questa notorietà, Alberto Mondi non si è montato la testa: ama l’Italia, la sola cosa che gli interessa promuovere, e sarebbe disposto a rinunciare alla sua fama pur di tornare a viverci.
Come è iniziata la carriera alla Jtbc, una delle principali emittenti del Paese?
«Un ex cliente della Peroni mi ha chiamato e mi ha fatto conoscere uno sceneggiatore che faceva casting. Cercavano 11 stranieri che parlassero coreano molto bene per un programma pilota. Ho sbaragliato gli altri 500, forse perché mi ero presentato in giacca e cravatta, e avevo dato a tutti il mio biglietto da visita della Fiat».
Di cosa parlava il primo programma?
«Era una sorta di parodia delle Nazioni Unite, il titolo era un gioco di parole in coreano».
E cosa è accaduto?
«La prima puntata andò così bene che continuammo. Oggi è terminato da 6 anni, e le persone ancora lo vedono».
Come è cambiata la sua vita?
«Allora ero assunto in Fiat, il giorno dopo la messa in onda andai al lavoro, e mi accorsi che in ascensore tutti mi riconoscevano».
I coreani guardano molta tv.
«Certo. Ma sono anche i maggiori inventori: producono ed esportano format. Se vanno li pompano, altrimenti li sospendono. Qui in Corea non funziona come in altre parti, si va a programma, non a contratti. Io sono, di fatto, un freelance, ma mi contattano molte emittenti».
Ha portato in Corea i suoi amici.
«Ho fatto un programma che si chiamava “Hei! Welcome first time in Corea”, invitavamo degli stranieri che potevano girare liberi per una settimana il Paese. E i primi visitatori sono stati i miei amici miranesi Federico Minto, Luca Berto e Francesco Pietrobon. Grazie a loro, è stato un successo».
Cosa le piace della Corea?
«Il livello di investimenti in istruzione, ricerca e sviluppo. Qui non hanno risorse naturali, l’unica risorsa sono le persone. E dagli anni Sessanta hanno iniziato a investire nel capitale umano. Il 96% delle persone che finisce il liceo va all’università. Tra i parlamentari il 50 per cento ha un dottorato. La società funziona meglio se è civilizzata».
In giro non si percepisce criminalità.
«Ci sono moltissime telecamere che assicurano il controllo. Su ogni auto al momento dell’acquisto viene installata una scatola nera. E c’è un processo educativo in atto, lo Stato investe nel fattore umano e questo fa la differenza».
Il suo successo è stato aver aperto una finestra sull’Italia.
«Ho fatto conoscere ai coreani le Dolomiti, prima di me pensavano che le montagne esistessero solo in Svizzera. Così come il Prosecco e le tipicità italiane, io promuovo tutto dell’Italia».
Da qualche anno esiste un festival italiano in Corea, che ha inventato assieme all’ambasciata.
«Si chiama “Ciao! Italia” e si tiene a Chuncheon, a un’ora da Seul, a giugno. È dedicato agli aspetti più amati della cultura italiana: dalla cucina, al cinema, dalla lingua alla musica. Collaborano uno chef italiano e un coreano. Abbiamo creato un gemellaggio tra Chncheon e Parma, per le tante similitudini».
È l’uomo più richiesto della Corea. Ma in Italia?
«Ho poche proposte. Collaboro con il Fidenza Village, la trattoria Dall’Oste a Firenze. Ora ho in piedi alcuni progetti, sono stato al Micam».
In quartieri come Gangnam si vedono donne e uomini bendati, cosa ne pensa?
«La chirurgia estetica è un business nato per le coreane che vogliono le palpebre all’occidentale. A 18 anni a una ragazza si regala l’occhio. Oggi ci si rifà soprattutto naso, seno e palpebra. La società coreana dà moltissima importanza all’immagine».
A giudicare dalle auto, sembra siano tutti ricchi.
«Qualche anno fa è stato fatto un sondaggio su quanta parte del proprio stipendio si spende per acquistare un’auto. Ed è emerso che il coreano spende il 100 per cento del proprio stipendio. Ossia si indebita. Ecco perché tutte queste auto di lusso in giro».
Perché è tanto importante apparire?
«Quella coreana è una società che risente del confucianesimo, ci sono gerarchie nei rapporti interpersonali e di lavoro che si riflettono nel lessico. La lingua stessa ha vari livelli di onorificenza: io parlo in base a chi sei tu, pertanto se questa è la mia forma mentis e se devo sempre mettere una persona su dei gradini per capire dove sono io e dove è lei, è naturale voler apparire al meglio per non essere a un livello più basso. In Italia puoi andare a cena con i compagni di classe del liceo indipendentemente dalla carriera che hanno fatto. In Corea è impensabile».
E lei lo fa?
«Io sono italiano, non coreano. E rimango me stesso».
Quali sono le discriminanti?
«Età e ricchezza prima di tutto».
Cosa le manca dell’Italia?
«La bellezza che c’è ovunque. La Corea è bella, ma l’Italia…».
Quasi ogni giorno il governo manda un alert sul cellulare, la divisione tra Nord e Sud non crea allarmismo?
«È un argomento che non interessa a nessuno tra le nuove generazioni. C’è totale disinteresse a riguardo».
E lei cosa ne pensa?
«La Corea del Nord è un vicino scomodo, ma la separazione ad alcuni stati fa comodo».
Quanto velocemente si sviluppa la società coreana?
«Mio figlio, alle elementari, realizza droni. Ha le materie curricluari e quelle libere, e tra queste c’è l’ora in cui gli fanno costruire e pilotare droni. E poi studia robotica e applicazione di coding. Certo, manca la parte umanistica».
Palestra, skincare, ostentazione. Come la mettiamo con tutta questa perfezione: non è fonte di stress?
«Il suicidio è una delle principali cause di morte in Corea, una delle nazioni con il più alto numero di persone che si tolgono la vita. E tante che soffrono di depressione non si curano, perché qui andare da un terapeuta è ancora visto come qualcosa di cui vergognarsi».
Il sogno nel cassetto?
«Portare la famiglia in Italia. Per i miei genitori, che invecchiano, e per far vivere un po’ di Italia ai miei figli».
E in Italia farebbe tv?
«Non credo. Qui sono speciale, in Italia uno dei tanti».
L’italiano più conosciuto in Corea, a parte lei?
«Penso sia Andrea Bocelli».
Non teme di perdere la notorietà?
«No. Pur facendo televisione sto con i piedi per terra e conduco la mia vita defilata. Se un giorno non avrò più fama e successo, ciò non mi stravolgerà certo la vita».
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Chi è: dalla laurea a Ca’ Foscari al successo internazionale
Solo su YouTube ha 174mila follower.
Alberto Mondi, 40 anni, originario di Mirano, è arrivato a Seul quasi vent’anni fa, dopo la laurea a Ca’ Foscari in Lingue e culture dell’Asia orientale. In Corea ha fatto uno stage per l’Ambasciata, frequentato i corsi di Economia all’Università di Kangwon ed è stato ricercatore al Korea Institute of Public Finance.
Il successo è arrivato quando è entrato nel cast di “Non-Summit”, che ha spopolato in Cina, Taiwan, Russia e Turchia. Tra i momenti cult, l’imitazione in dialetto veneto di un gondoliere. Da 10 anni lavora per la Jtbc e con i suoi programmi tv fa conoscere tradizioni, bellezze e cucina italiane.
Vive con la moglie e i loro due bimbi a Seul, e passa le ferie nel Veneziano. Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia, diverse aziende italiane si avvalgono della sua conoscenza della lingua e cultura coreana per stringere rapporti commerciali nell’Asia orientale. È stato chiamato al Micam di Milano, per promuovere la calzatura e internazionalizzare i distretti produttivi della scarpa, tra cui la Riviera del Brenta.