Caso Regeni, Gentiloni: «Senza la verità è difficile ricomporre i rapporti con l’Egitto»
L'omicidio di Giulio Regeni ha portato i rapporti tra Italia ed Egitto in "un’era glaciale". Ed è «difficile ricomporli finché non verrà accertata la verità sui responsabili della morte di Giulio Regeni». È quanto ha affermato in aula, nel processo a carico di quattro 007 egiziani, l'ex premier e all'epoca dei fatti ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni sentito come testimone davanti alla prima corte d'Assise di Roma.
Nel corso dell'audizione, rispondendo alle domande del procuratore Francesco Lo Voi, Gentiloni ha definito come "abnorme" la vicenda del ricercatore friulano ucciso nel gennaio del 2016 dopo essere stato rapito e torturato per giorni in una villetta in uso ai servizi di sicurezza nella periferia del Cairo. «Non è condivisibile che i rapporti tornino alla normalità tra i due Paesi: una frattura e incrinatura nella fiducia - ha aggiunto - deve lasciare una traccia e finché ho avuto ruolo di governo questa traccia è rimasta».
L'ex numero uno della Farnesina è poi tornato ai tragici giorni della scomparsa e poi della morte del ricercatore italiano. «Appresi dell'assassinio il 3 febbraio, ero a Londra per un incontro internazionale sulla Siria. Avvicinai in modo informale il mio omologo egiziano e gli dissi che questa vicenda sarebbe stata un macigno sulle relazioni e che ci aspettavamo assoluta collaborazione.
Nei primi giorni ci furono dichiarazioni di disponibilità da parte del Cairo che poi però non si è materializzata nei mesi successivi». Gentiloni ha affermato che «nei rapporti con le autorità egiziane siamo entrati quasi subito in un'era glaciale dopo anni di collaborazione: in poche settimane le riluttanze e tentativi di depistaggio ci portarono a decidere di richiamare l'ambasciatore Massari. Di fatto non ebbi più incontri bilaterali con l'Egitto fino all'ottobre del 2017 quando incontrai Al Sisi nella veste di presidente del Consiglio». Dopo il brutale omicidio del ricercatore per ottenere collaborazione dall'autorità egiziane nella ricerca della verità su quanto avvenuto «sensibilizzammo altri Paesi tra cui gli Stati Uniti e il Regno Unito«.
Ed è proprio dall'Inghilterra, in video conferenza, è stata ascoltata la docente dell'università di Cambridge, Maha Abdelrahman, tutor di Regeni nel periodo in cui il giovane ricercatore era al Cairo. La teste ha sostanzialmente ripetuto quanto affermato davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta. «Non ho mai ricevuto o subito pressioni da parte del governo egiziano per non deporre e nemmeno i miei familiari», ha specificato per poi chiarire che «Giulio non ha mai avuto rapporti con le autorità inglesi e l'università di Cambridge gli aveva dato in parte un finanziamento, ma non una borsa di studio completa».
La docente ha ricordato di avere ricevuto la notizia della scomparsa di Giulio via mail il 26 gennaio del 2016 e quando ha saputo della morte «è rimasta devastata e traumatizzata». Dopo la vicenda di Regeni non è più tornata in Egitto «anche per questioni di sicurezza, perché su alcuni media ero stata descritta come una spia», ha affermato.