Università di Catania, polemica sul dottorato vinto dalla coordinatrice dello stesso dipartimento: “Inopportunità enorme”
Consigliera di amministrazione dell’Università, collaboratrice dello staff del Rettore e coordinatrice amministrativa di Dipartimento di Scienze umanistiche. Ai tre prestigiosi incarichi Teresa Cunsolo, funzionaria dell’Ateneo di Catania, ne ha aggiungerà un quarto: un dottorato di ricerca bandito dal suo stesso dipartimento. Un posto senza borsa, dunque a titolo gratuito, vinto da Cunsolo nel silenzio più totale dei vertici dell’università: contattati ripetutamente dal ilfattoquotidiano.it, hanno preferito non commentare e rilasciare dichiarazioni su una vicenda che ha provocato polemica all’interno dell’ateneo.
Funzionaria di fiducia – Il caso della dottoressa Cunsolo ha lasciato senza parole molti degli oltre ottanta candidati che si sono presentati per uno dei sette posti utili per il dottorato di ricerca in Scienze dell’interpretazione, del dipartimento di Scienze umanistiche (Disum). Dopo aver passato la prima selezione, venendo ammessa insieme ad altre 31 persone al colloquio, Cunsolo ha ottenuto il settimo posto con il punteggio di 97,10 (su 120), ottenendo quindi al dottorato ma senza borsa di studio. La funzionaria è coordinatrice amministrativa proprio del dipartimento di Scienze umanistiche, dove ricopre la mansione di “raccordo tra i vari uffici dipartimentali e il direttore”: un posto che nella scala gerarchica arriva soltanto dopo la direttrice Maria Caterina Paino e il suo vice Gaetano Lalomia. Sempre Cunsolo è pure componente del consiglio di amministrazione dell’università, una figura indicata dal Senato accademico e nominata dal rettore. Statuto alla mano, il consiglio di amministrazione “esercita funzioni di indirizzo strategico, di approvazione della programmazione finanziaria annuale e triennale e del personale, nonché di vigilanza sulla sostenibilità finanziaria delle attività dell’Ateneo”, e “delibera, su proposta dei Dipartimenti o delle Scuole, previo parere del Senato accademico, l’attivazione o la soppressione di corsi”. Quindi è lo stesso consiglio che approva la creazione del dottorato, vinto da Cunsolo. Non meno prestigioso, il ruolo di collaboratrice dello staff del rettore che la funzionaria ricopre ormai dal 2019.
“Inopportunità evidente” – Dal sito dell’Ateneo, tra l’altro, risulta che Consolo al momento è in maternità. Da questo momento in poi la neo ricercatrice potrà mantenere il suo stipendio da funzionaria, essendo vincitrice senza borsa. Potrà però rimanere in aspettativa per i prossimi 3 anni. Non sarà neppure costretta a chiedere il concedo parentale, considerato che avrà la flessibilità degli orari da ricercatrice. “Non c’è una norma diretta che impedisca ad un consigliere di amministrazione dell’università di vincere un dottorato, però c’è una questione di inopportunità enorme”, commenta Saverio Regasto, docente di diritto pubblico all’Università di Brescia e membro del direttivo di “Trasparenza e Merito – L’università che vogliamo”. “Già è sospetta la posizione di coordinatrice amministrativa del dipartimento, alla quale si aggiunge anche quella di collaboratrice dello staff del rettore, ma il buon senso vorrebbe che una consigliera di amministrazione non partecipasse neppure ad un bando prima di dimettersi – prosegue Regasto – E anche se si fosse dimessa anticipatamente avrebbe potuto influenzare la decisione, perché non dimentichiamo che la scelta di attivare un dottorato passa proprio dal consiglio di amministrazione, che ci mette i soldi per le borse di studio”. “Non è la prima volta che concorro per l’accesso ad un dottorato di ricerca, ma questa volta, quando ho visto l’elenco degli ammessi, sono saltata dalla sedia. Spiccava un nome che mi ricordava qualcosa, quindi ho fatto un rapido controllo sul sito del Disum e ho visto che si trattava della coordinatrice amministrativa del Dipartimento”, racconta a ilfattoquotidiano.it Manuela, una studentessa che preferisce celare la sua identità sotto un nome di fantasia. “So che altri colleghi hanno fatto accesso agli atti – continua – non riesco a spiegarmi perché l’Università di Catania non abbia ritenuto inopportuno ammettere al dottorato una candidata che ricopre un ruolo di un certo livello all’interno dell’Ateneo e che la commissione dovrà pur conoscere, essendo la coordinatrice del Dipartimento. I commissari avranno certamente operato onestamente, ma, in nome della trasparenza, considerate anche le note cronache giudiziarie che hanno in passato coinvolto l’Ateneo, l’università avrebbe fatto bene a non dare adito a dubbi”.
Università Bandita – Il riferimento è all’inchiesta ribattezza “università bandita” della procura e della Digos etnea, che ha coinvolto 45 persone, tra rettori, docenti, accademici e funzionari, accusati a vario titolo di turbativa degli incanti, della libertà del procedimento del contraente, induzione indebita, falso ideologico, falso materiale e corruzione. Nessuno dei dipartimenti è stato escluso dal presunto mercimonio delle cattedre. Tra i casi finiti sul banco degli imputati, ne spicca uno al Disum: la direttrice Paino, l’ex rettore Giacomo Pignataro, il suo successore Francesco Basile e l’ex ministro e sindaco Enzo Bianco sono accusati di irregolarità compiute per far ottenere una cattedra al professor Orazio Licandro. “In assenza di alcuna esigenza didattica per il Disum”, si legge nella conclusione delle indagini dei magistrati etnei, con gli indagati accusati di aver ottenuto “l’inserimento” del corso di Licandro, “potendo comunque eventualmente colmare tale esigenza con altri docenti interni all’ateneo catanese”. A marzo scorso, i magistrati hanno chiesto la condanna a 3 anni e 6 mesi per Paino, Licandro e Bianco, 4 anni per l’ex rettore Pignataro, e 10 anni e 8 mesi per l’ex rettore Basile.
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