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Октябрь
2024

Vini, panico tra gli operatori: ai giovani meglio vendere il lusso o la sostenibilità?

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Qualche tempo fa ero a un convegno organizzato da una grande cantina. Sullo schermo, si alternavano slide con numeri e grafici, che mostravano, tra gli altri dati, i consumi di vino rosso in calo e l’interesse dei giovani verso sostenibilità, vita sana, prodotti ‘naturali’. In alcune immagini precedenti si parlava di strategie di marketing elitario vincenti in Asia o negli Stati Uniti e premiumization, richiesta di prodotti di livello considerato alto e conseguente adeguamento del marketing per veicolare quest’idea.

I relatori, enologhi o proprietari di cantine, si alternavano parlando ora di prodotti sani, sostenibili e accessibili (vino come prodotto agricolo), e un minuto dopo di vino come prodotto di lusso, con espressioni preconfezionate, ormai pronunciate di default senza neanche più pensare né al significato né al contesto.

Da sempre i grandi gruppi fanno più linee, rivolte a fasce di mercato diverse, ma, se la prima regola del marketing è l’identità, davvero è possibile essere credibili saltellando alla bisogna tra esclusività e inclusività?

“L’identità è una corrispondenza tra quello che dici e quello che fai, quello che ti permette di essere riconoscibile, e di legare il tuo vino a un luogo”, mi dice Elena Pantaleoni nel corso di una recente bella intervista. Elena, proprietaria de La Stoppa, azienda agricola della Val Trebbia (Piacenza), è una produttrice stimata nella nicchia(?) naturale, esempio di coerenza e pragmatismo. L’identità e l’autenticità sono forme di coerenza, ed è questo che le persone consapevoli, e molti giovani, cercano, soprattutto in tempi duri privi di riferimenti ma saturi di marketing invasivo. E, per fortuna, per molte persone non sono più sufficienti due righe green nella retro-etichetta per identificare il prodotto come sano e sostenibile.

La coerenza riguarda la produzione dei vini, “frutto di esperienze, sensibilità e ragionamenti”, continua Pantaleoni “ma anche scelte quotidiane come la scelta degli importatori, dei distributori, dei prezzi…”, mantenuti ragionevoli, inclusivi appunto.

Quando ero giovane io sulle tavole c’era del vino, adesso i giovani non bevono più, è una frase che si legge e ascolta sempre più spesso negli articoli o dibattiti di settore. Trent’anni fa il vino sulle tavole non costava cinquanta euro, o neanche trenta. E nello stesso tempo non era considerato né un prodotto di lusso né uno scarto perché semplice, ma un alimento, parte del pasto.

Se i vini base, quelli che hanno rappresentato il consumo di vino su le tavole dei nonni e che potrebbero essere il famoso bicchiere di vino al giorno per la maggior parte dei consumatori, sono oggi additati come i mediocri del settore, poveri di identità e territorialità, o – peggio ancora – prodotti dai grandi gruppi volutamente per essere tali, il problema del calo dei consumi è davvero un marketing che non parla ai giovani?

Foto e storie social continue di party esclusivi, location esclusive, cene esclusive, abiti esclusivi e prezzi proibitivi, e se bevete vini semplici sapete apprezzare ben poco il vino. Sono questi i messaggi che passano i social di questi tempi, sono questi i messaggi che vengono finanziati da molte cantine.

Che poi, sembra a volte che parlare ai giovani voglia dire usare messaggi e video stupidi piuttosto che semplici, quando per fortuna molti giovanissimi sono più stanchi dei boomer di scemenze e ipocrisie e vorrebbero riferimenti. “Svecchiamo il linguaggio, rendiamo semplice la comunicazione del vino”, dicono. Ma prima di svecchiarlo, lo devi padroneggiare, il linguaggio. E per padroneggiare il linguaggio servono competenze; altra curiosa moda moderna quella di insistere sulla necessità di competenze nel proprio settore ma dimenticarsi che per essere giornalisti servirebbero competenze. Scrivi ‘comunicatore’, e tutto si risolve.

Cari autorevoli operatori del settore: lo studio è inclusivo, la competenza è inclusiva, l’intelligenza è inclusiva, la semplicità è inclusiva; l’esclusività – pensa un po’ – è invece esclusiva; la povertà di pensiero è esclusiva, perché l’epilogo più automatico di questi tempi è finire a fare marchette (ops, #adv) e ripetere banalità, offrendosi al miglior pagante. I cui vini degustati all’evento esclusivo saranno sicuramente autenticamente eccellenti.

L'articolo Vini, panico tra gli operatori: ai giovani meglio vendere il lusso o la sostenibilità? proviene da Il Fatto Quotidiano.