Padova, l’ex museo civico al Santo è abbandonato da 15 anni
Ci si fa strada tra guano di piccione, qualche calcinaccio e tanta polvere. La sala d’ingresso è diventata deposito di vecchi eleganti confessionali. Ma è lo scalone monumentale a prendersi la scena, perché nella sua ampollosità neogotica conduce a una enorme serie di sale vuote e abbandonate.
È dal gennaio 2010, quasi 15 anni, che nessuno mette più piede nell’ex museo civico al Santo. Le ultime mostre furono organizzate dal centro di fotografia (fu chiuso con l’Afghanistan di Hans Stakelbeek), poi più nulla è stato fatto negli spazi in cui l’ingresso monumentale è un piccolo capolavoro di Camillo Boito.
Ed è proprio grazie alla «passeggita boitiana» organizzata dall’Ordine degli architetti che le porte di quell’edificio sono state riaperte, ma solo per pochi minuti.
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L’ex museo civico di Boito
Fino al 1985 questi spazi hanno ospitato le opere del museo civico, arrivate qui un secolo prima quando le donazioni delle famiglie Capodilista e Bottacin resero necessario uno spazio più grande rispetto al palazzo municipale.
Fu l’architetto e storico Pietro Selvatico a spingere per una soluzione unitaria al Santo, nonostante fosse noto che preferisse l’ex convento degli Eremitani, «tra Giotto e il Mantegna», come si diceva all’epoca.
Lo spostamento del museo al Santo fu realizzato nel 1871, ad occuparsi dell’adattamento degli spazi furono prima Euganeio Maestri e poi proprio Camillo Boito, il padre dello «stile nazionale» per la nuova Italia unita.
Fratello del compositore Arrigo (il librettista di Giuseppe Verdi) e autore del racconto “Senso” da cui Luchino Visconti trasse una delle sue pellicole più famose.
«Purtroppo non sono rimasti né i disegni né la relazione del progetto di Boito per l’ingresso monumentale del museo – racconta Guido Zucconi, docente di storia dell’architettura allo Iuav, tra i massimi esperti in Italia – Ha sicuramente realizzato un prospetto più ricco rispetto alla sua rivendicata simplicitas, ma usato comunque un materiale umile come il Botticino, un marmo del Bresciano. Interessante è la copertura che imita il Salone e gli edifici medievali. Realizzata nel 1881, questa è l’ultima opera civile di Boito, chiamato a dare un ingresso decoroso al museo cittadino».
La querelle con il Vaticano
Uno spazio che oggi è di proprietà della Santa Sede, come tutto il complesso della Basilica antoniana. Ma che è stato al centro di più di un contenzioso.
Dopo le soppressioni napoleoniche infatti era stato conferito al demanio austriaco e poi a quello italiano. Tant’è vero che il Comune lo usa appunto come sede per i musei civici.
Dopo i Patti Lateranensi però nacque un contenzioso che fu risolto con il pagamento di un canone da parte di Palazzo Moroni ai frati del Santo. Anche dopo il trasferimento del museo agli Eremitani, nel 1985, il Comune continuò a pagare un canone di circa 400 milioni di lire all’anno.
E poi 200 mila euro fino appunto al 2010, quando sono state rimosse e portate altrove anche le ultime opere che restavano in quegli spazi, tra cui il famoso dossale dell’altare di Tiziano Minio riportato a casa nell’oratorio di San Rocco.
Futuro museo o studentato
C’è un futuro per questo spazio storico della città al di là dell’attuale abbandono? Il pallino è in mano alla Santa Sede anche se i ragionamenti sono in corso da anni, attorno all’idea di un nuovo museo, ma pure di destinarne degli spazi una parte a studentato.
Negli anni scorsi si è teorizzata anche una collaborazione con i Musei Vaticani che nei depositi custodiscono opere che restano non esposte al pubblico e che potrebbero invece essere valorizzate. In ballo ci sono anche i fondi per il Giubileo 2025, promosso da Papa Francesco.
«È uno spazio stupendo che molti padovani hanno conosciuto, anche se forse non lo ricordano – sottolinea l’assessore alla cultura Andrea Colasio – Ovviamente il Comune sarebbe interessato a una soluzione museale: il problema è cosa metterci dentro. Anche perché deve essere in grado di autosostenersi dal punto di vista dei costi. Ma con 2 milioni di pellegrini che visitano la Basilica ogni anno, anche solo intercettandone il 5-6% si raggiungerebbe la sostenibilità economica».
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Donatello e il Gattamelata
Se c’è un nome che potrebbe garantire successo a un’iniziativa museale al Santo non può che essere Donatello, il maestro del ’400 che in Basilica ha realizzato capolavori come le statue dell’altare (anche questo, guarda caso, recuperato da Boito) e che fuori sul sagrato ha sistemato uno dei suoi capolavori: la statua in bronzo del Gattamelata.
Proprio quella statua che è in ristrutturazione e su cui si stanno eseguendo le analisi più approfondite per valutarne lo stato di conservazione.
Su questo l’assessore Colasio non ha dubbi, anche se la polemica nei mesi scorsi è stata feroce: «Non c’è nessuna opera di Donatello al mondo lasciata all’aria aperta, sottoposta alle intemperie – ragiona – La stessa statua del Canova in Prato della Valle è una copia, mentre l’originale è al museo. Lo stesso vale per il Marc’Aurelio a Roma o per la quadriga di San Marco a Venezia».
Ecco allora che le grandi sale dell’ex museo civico al Santo – una in particolare, che ricorda la navata di una chiesa – potrebbero ospitare la grande statua in bronzo, rendendola anche più accessibile per i visitatori. E chissà che non sia questa la chiave per riaprire il museo abbandonato.
