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Tarchi: “Applicare ai nazional-populisti l’etichetta di nostalgici neofascisti è una mossa disperata”

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I guai del Pd, la scommessa grillina senza Grillo, le frizioni  sommerse nel centrodestra, il ruolo di Forza Italia senza Berlusconi e il boom del populismo in Europa. È un’intervista a tutto campo quella di Marco Tarchi alla Verità mentre la polveriera Mediorientale apre sfide epocali.  Il politologo, acuto osservatore e buon conoscitore della destra italiana ed europea, prende le mosse dallo stato di salute della maggioranza sotto il pressing degli azzurri. Da quando gli eredi del Cavaliere hanno deciso di cavalcare temi divisivi la situazione “si è aggravata”, dice Tarchi, che però non vede terremoti in vista.

Tarchi: il campo largo mai stato credibile

Sul fronte opposto giudica poco credibile fin dall’inizio l’ipotesi di un “campo largo” che includa tutte le opposizioni. “La frettolosa verniciatura del M5s a tinte progressiste non ha cancellato un dato cruciale. Gli elettori grillini  non sono disposti a digerire accordi, perlopiù in posizione subordinata, con un Pd che è sempre stato uno dei loro bersagli polemici preferiti. Lo sprofondamento sotto il 10% alle europee ne è la dimostrazione”. I vertici pentastellati – osserva Tarchi – non hanno una “figura aggregatrice credibile. Di Battista sarebbe il candidato naturale alla leadership degli “ortodossi” ma il suo auto-confinamento al ruolo di grillo parlante ostacola questa ipotesi”. A Conte, che tiene botta anche se le urne piangono, “non resta che sabotare il campo largo e restituire ai 5Stelle un’immagine, sia pur ridimensionata, di autonomia”.

I populisti non sono pericolosi nostalgici neofascisti

Ma è sul fronte del nazional-populismo che il politologo offre una lettura originale e, come nel suo stile, controcorrente. “Applicare ai partiti nazional-populisti l’etichetta di estrema destra, o quella di ultradestra, è una scelta politica tendente a squalificare questi soggetti, che non hanno niente a che vedere con i gruppuscoli di nostalgici neofascisti o neonazisti”. Un duro colpo ai paladini della democrazia che urlano al pericoloso ritorno al Ventennio e alla dittatura hitleriana. “Da una parte – spiega il politologo –  c’è una piena accettazione dei principi e delle regole della democrazia; dall’altra un rifiuto ideologico, se non anche pratico. C’è in Europa un 25-30% dell’opinione pubblica che simpatizza per queste formazioni perché non tollera più i fallimenti politici e sociali dei governi di centrodestra e di centrosinistra. Sperare di tenerle ai margini con cordoni sanitari e discriminazioni istituzionali sa di mossa della disperazione”.

In Francia la Le Pen è l’ago della bilancia

Lo dimostra plasticamente il post voto in Francia dove “il primo ministro Barnier e il suo governo si reggono sulla benevolenza di Marine Le Pen (data per sconfitta alle elezioni e invece determinante) e contrastato da Mélenchon (dato per vincente alle elezioni ma all’opposizione). A distanza di mesi il racconto di quelle elezioni sembra non reggere”, osserva Tarchi. “Il Rassemblement national è l’ago della bilancia, ma deve fare molta attenzione a come, e quando, giocare le sue carte, per non ridare fiato alla concorrenza degli ex gollisti”. Anche da Oltreoceano arrivano messaggi chiarie. Il milionario Donald Trump è molto apprezzato dai ceti più popolari. Un paradosso? Non troppo per Tarchi. “Agli occhi dei sostenitori, la sua figura rimane quella di un outsider rispetto alla politica tradizionale, e per i populisti, che sono il suo zoccolo duro, questo è ciò che conta. Il loro disprezzo per l’establishment è tale da portarli a riconoscersi anche in “uno che ce l’ha fatta” e nella scala sociale si colloca molto più in alto di loro, purché nei modi e nei discorsi si dimostri distante da “quelli di Washington”””.

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