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La Spagnola flagello del Novecento: una ricerca di Marco Monte ne svela storia e dati

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«Non diventare mai vecchi, questa fu la sorte di milioni di individui»: infatti, tra il febbraio 1918 e il marzo 1919 la pandemia di influenza Spagnola (così chiamata perché fu la Spagna neutrale a parlarne apertamente, e ciò le costò la fama di nazione fonte del contagio) si accanì, nelle sue diverse fasi, con un vigore inedito su quelle fasce d’età da sempre risparmiate dall’ordinario regime di mortalità, al punto da produrre un’ecatombe di giovani vite di tale portata da non essere in memoria di nessuno. La Spagnola concluse l’infausto lavoro iniziato dalla guerra e creò legioni di orfani, frantumò un numero incalcolabile di relazioni coniugali, lasciò larghi vuoti generazionali.

Nella fase più acuta dell’epidemia la smisurata mole di contagiati determinò in un tempo breve un numero di vittime impossibile da quantificare, ma di certo superiore a quelle direttamente causate dalla Grande guerra: sinché, come accadeva per ogni morbo infettivo affacciatosi al mondo fino a quell’epoca, essa scomparve non grazie all’ars medica, che era priva di conoscenze e mezzi adeguati, ma per l’esaurirsi dei soggetti ricettivi all’agente patogeno. E chi nel frattempo era guarito lo doveva a quei poteri di auto-guarigione, in grado di contrastare molti malanni, che ogni organismo possiede.

La ricerca dello storico friulano Marco Monte, E non saranno mai vecchi… Storia e inchiesta demografica sulla febbre spagnola in Italia, imponente e ben strutturata, completa e talora si stacca da diverse affermazioni proposte dalla letteratura sull’argomento (un esempio: si supera il concetto differenziale della mortalità di genere che vedeva le femmine più colpite dei maschi). Il testo, necessariamente denso di dati e di grafici, è tuttavia chiaro e scorrevole, ed è diviso in tre parti: una storia della pandemia osservata dai versanti sanitario, politico e sociale; i suoi effetti in un ampio numero di città e paesi italiani (soffermandosi altresì sui conflitti fra sanità civile e militare e sul ruolo svolto dallo Stato); un’inchiesta statistico-demografica per l’intera Penisola.

E proprio l’Italia, per ragioni che vengono spiegate, detiene il record di vittime in Europa: la Spagnola mise così «a nudo le criticità dell’intero Sistema Paese ed aprì larghe brecce in quei punti già segnati dalla pesante arretratezza sociale ed economica». Nei territori del Nord Est occupati dagli eserciti austro-germanici, poi, essa ha avuto un impatto decisamente maggiore per una serie di sofferenze aggiuntive, e sono illuminanti le pagine che ne trattano.

Circa le fonti, l’ultima parte si basa sui registri dei morti dello Stato civile (quella della febbre Spagnola è d’altronde «una Storia di storie silenziose e sommerse, talmente evanescenti – avverte l’autore – da non lasciare traccia se non nei registri dei defunti»). Per le prime due invece il ventaglio è ampio e in buona parte sinora inesplorato. Oltre alla letteratura sul tema, Monte ha utilizzato registri degli Archivi diocesani, parrocchiali o d’altro tipo delle regioni occupate dopo Caporetto, circolari prefettizie, stampa dell’epoca, registri ospedalieri e poi diari, memorie, lettere di alte cariche dello Stato e di medici, religiosi, soldati, gente comune: tutte testimonianze preziose e, in molti casi, inedite.

Notevoli i contenuti sulla censura, figlia del periodo bellico: prima di tutto, il nemico non doveva conoscere le condizioni sanitarie delle nostre forze armate; poi, per il morale dei soldati non conveniva che essi sapessero delle precarie condizioni di salute dei loro cari; infine, la verità sull’entità del disastro avrebbe terrorizzato la popolazione inducendola a rifiutare ogni contatto con l’esterno, con ricadute negative sull’industria degli armamenti. In questo contesto, il governo e le forze militari diffusero nel Paese, con la stampa e con indicazioni e misure spesso contraddittorie, una narrazione distorta, minimizzante e nociva.

La ricerca verrà presentata, nella Sala conferenze di Villa Dora, il 17 ottobre alle 20.30, con l’autore e con interventi di Sonia Manente e Fiorella Levi.