Altro che mini-concilio: il Sinodo si svolge nell’indifferenza e senza i temi che scottano
Comincia in una strana atmosfera la seconda sessione del Sinodo mondiale dei vescovi. La base larga del mondo cattolico segue l’evento con indifferenza. Ci si può appassionare ad un “Sinodo sulla sinodalità”? Evidentemente no. A Roma e nell’orbe cattolico il termine “sinodalità”, ripetuto ossessivamente, è diventato come quegli slogan politici tipo “innovazione” o “merito” che servono soltanto a dimostrare che si è dalla parte del governo per non avere noie.
Ciò che non favorisce una partecipazione ragionata ed emozionale (serve anche quella) dell’opinione pubblica cattolica all’evento è il suo ossessivo controllo dall’alto. Non ci sono resoconti sugli interventi: nel senso che non viene comunicato chi ha preso la parola e cosa propone o critica (è una rottura del metodo di trasparenza che ha caratterizzato i sinodi da Paolo VI a Giovanni Paolo II, a Benedetto XVI).
Il dibattito assembleare è molto limitato. I lavori si svolgono intorno a 36 tavoli, a ognuno del quale siede una decina di membri sinodali. Si parla a turno. Un primo giro di tre minuti per dire cosa si pensa e poi altri tre minuti per esporre una critica. Un secondo giro di tre minuti per ciascuno con l’obiettivo di individuare i nodi del dibattito e altri tre minuti per approfondimenti. Poi il tutto sarà demandato a 5 Tavoli linguistici mentre nel frattempo un supergruppo analizzerà le principali tematiche emerse.
I momenti assembleari, in questo schema, sono marginali. Vescovi e membri sinodali laici sono inquadrati come fossero studenti di un seminario di studio. Seguono metodologie decise altrove. Per di più il pontefice ha avocato a sé i contenuti più scottanti. Ha deciso che la questione dell’accesso delle donne al diaconato o ad altri ministeri da inventare sarà trattata in una delle dieci commissioni di studio, che si occupano di tematiche particolari sottratte di fatto alla discussione sinodale. Inoltre Francesco ha fatto comunicare che non si parlerà del celibato dei preti. Infine la questione della benedizione delle coppie gay è già stata impostata dal documento Fiducia supplicans del dicastero per la Dottrina della fede.
Una presentazione delle prime tracce di lavoro delle 10 commissioni di studio è stata fatta giovedì al sinodo. Su queste bozze non ci sarà dibattito né voto. I risultati dei lavori saranno presentati al Papa il 15 giugno del 2025, quando le luci del sinodo saranno spente da un pezzo. Una procedura che non risponde esattamente ai criteri di una espansione della partecipazione ecclesiale.
Quando fu annunciato nel 2020 il tema del sinodo, “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”, l’idea che si diffuse nel mondo cattolico, e che suscitò molto entusiasmo, era che sarebbe stato quasi un mini-concilio per indicare la strada della Chiesa del XXI secolo. Di mini-concilio non si può parlare. Per questo l’entusiasmo si è notevolmente affievolito. Dettaglio significativo: i più disperati sono i rappresentanti dei media cattolici, che non sanno cosa scrivere.
Un osservatore acuto come padre Thomas Reese, a suo tempo direttore dell’influente rivista dei gesuiti America, ha scritto che i membri del sinodo dovrebbero “stabilire la loro agenda, anche se questo significasse respingere l’agenda del papa”. In altre parole il sinodo stesso dovrebbe scegliere quali sono i temi cruciali dell’essere Chiesa e della missione dei credenti oggi. Reese ha citato l’esempio dei padri conciliari del Vaticano II, che rigettarono l’agenda preparata dalla curia romana e decisero loro come procedere.
Non è questo il clima al sinodo dell’ottobre del 2024. Ed è un paradosso, perché etimologicamente e storicamente “sinodalità” significa una prassi assembleare in cui tutti discutono e decidono tutto, senza limitazioni dall’alto. Nella tradizione ortodossa il sinodo ha un’autorità decisionale, che impegna anche il patriarca.
Nonostante ciò questo sinodo riflette un “work in progress” importante per la Chiesa di papa Francesco. Il lungo processo dendi preparazione ha coinvolto diocesi, Chiese nazionali e assemblee di Chiese a livello continentale. Molte energie sono state risvegliate. La base di discussione di questo ottobre 2024, il cosiddetto Instrumentum laboris, tocca tematiche capaci di aprire prospettive di riforma interessanti.
Basterebbe elencarne soltanto tre.
1) Si insiste lungamente e ripetutamente sul ruolo di partecipazione attiva delle donne in tutti gli ambiti ecclesiali, superando ogni tipo di cultura maschilista. Sottolineando l’urgenza che le donne siano partecipi in tutti i livelli decisionali. Per essere chiari il documento-base sinodale cita due concetti socio-politici anglosassoni: decision making e decision taking, cioè sia il momento di elaborazione delle proposte di governo (di una parrocchia, di una diocesi) sia il momento decisionale vero e proprio.
2) Si propone di pensare a momenti di formazione collettiva, che coinvolga laici, religiosi, sacerdoti e seminaristi, per favorire il senso comunitario della missione ecclesiale.
3) Infine la proposta più rivoluzionaria: introdurre nella Chiesa la pratica di rendicontazione (accountability in inglese) dell’azione pastorale e missionaria a tutti i livelli. Non soltanto per evitare scandali finanziari o insabbiamenti di abusi sessuali ma introducendo “procedure di valutazione periodica per lo svolgimento di tutti i ministeri e incarichi all’interno della Chiesa.
A lungo termine significherebbe spezzare il sistema monarchico-gerarchico per cui in parrocchia comanda il parroco, in diocesi il vescovo e nella Chiesa tutta il Papa. Significherebbe rimodellare la Chiesa in senso comunitario.
Fra tre settimane vedremo l’esito del dibattito.
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