Il caos sulla risoluzione del DNS e l’instradamento degli IP bloccati
Secondo le modifiche – appena approvate – al Piracy Shield, quasi tutti coloro che operano nel mondo di Internet (come fornitori di servizi, come DNS e VPN) devono aderire obbligatoriamente alla piattaforma e rispettare quanto indicato dalla legge. Ma c’è un paradosso: coloro i quali devono occuparsi dello sblocco degli IP e dei DNS non devono far parte di tutto ciò. Questa è una delle clamorose incongruenze (e obbrobri) inserite all’interno degli emendamenti approvati – attraverso il ricorso al voto di fiducia – nel grande calderone del “decreto Omnibus”.
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Si tratta di una modifica agli emendamenti di cui abbiamo parlato la scorsa settimana, in cui viene indicato il ruolo e l’incarico che viene affidato a soggetti che fino a questo momento – neanche nella legge dedicata approvata lo scorso anno – non erano mai stati tirati in ballo e accreditati per avere un ruolo all’interno del sistema dello scudo anti-pirateria. E, di fatto, la superficialità con cui è stato scritto questo cambiamento (diventato legge) continua a lasciare enormi perplessità.
Piracy Shield, la stortura sulla riabilitazione degli IP
Al comma 6 dell’articolo 6-bis del testo approvato prima dal Senato della Repubblica e poi dalla Camera dei deputati, infatti, è comparso questo nuovo articolo:
«I prestatori di servizi di assegnazione di indirizzi IP, il Registro italiano per il country code Top Level Domain (ccTLD) .it, i prestatori di servizi di registrazione di nome a dominio per i ccTLD diversi da quello italiano e per i nomi a generic Top Level Domain (gTLD) provvedono periodicamente a riabilitare la risoluzione dei nomi di dominio e l’instradamento del traffico di rete verso gli indirizzi IP bloccati ai sensi del presente articolo, decorsi almeno sei mesi dal blocco e che non risultino utilizzati per finalità illecite».
Dunque, l’anagrafe dei domini (Registro.it) dovrà provvedere con lo sblocco dei siti bloccati se, dopo sei mesi dall’intervento, non saranno ritenuti colpevoli di attività illecite (con l’eventuale vittima dell’ingiustizia che dovrà dimostrare di non aver commesso reati). Questi prestatori di servizio, però, non hanno nulla a che vedere con il Piracy Shield: non sono obbligati ad aderire e non sono mai comparsi all’interno della normativa che ha portato alla creazione dello scudo anti-pirateria e alle sue successive modifiche. Almeno finora.
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