Alessio Boni nel tempo di Magris alla sala Bartoli di Trieste
È stato Ulisse e don Chisciotte, Caravaggio e il principe Bolkonskij, l'eretico Fra' Dolcino e Heathcliff di "Cime tempestose". E perfino Dio. Questa volta, però, si mette a servizio delle parole di un grande della nostra terra, Alessio Boni, debuttando questa sera, venerdì 4 ottobre, alle 19.30 nello spettacolo che inaugura la stagione della Sala Bartoli del Rossetti. “Il vetro della clessidra” è la pièce con cui il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia consolida il rapporto con Claudio Magris, ritenuto «fra i più lucidi e acuti maître-a-penser contemporanei»: orgoglioso di aver messo in scena tutti i suoi scritti teatrali - da “Stadelmann” a “Le voci”, da “La mostra” a “Lei dunque capirà” - ora lo Stabile porta in palcoscenico, con la regia Paolo Valerio, due dei cinque racconti di “Tempo curvo a Krems” più un monologo, “Essere già stati”, che è l’unico del grande scrittore non ancora rappresentato a Trieste. Qui lo spettacolo sarà in scena fino a domenica 13 mentre il 17 sarà alla Fiera del libro di Francoforte in una speciale versione in doppia lingua: italiana sempre con Alessio Boni e tedesca con l’attore Peter Schorn.
Di ritorno da Marrakesh, dove ha appena finito di girare in inglese una black comedy con la regia di Rocco Ricciardulli, l'interprete di "La meglio gioventù" racconta il suo approccio a quel «tempo curvo» che non sembra avere inizio né fine. «Stavolta do vita ai personaggi immaginati da Magris mettendomi totalmente a servizio della sua parola - spiega -, immergendomi come se avvertissi le sensazioni che lui vuol fare arrivare. Sono tre racconti diversi: il primo ha al centro un maestro yiddish di violino, mentre "Essere già stati" è un pezzo teatrale meraviglioso che racconta la vicenda di Jerry Olsen, grande chitarrista rock, talmente veloce nell'esecuzione che nessuno riusciva a batterlo. A un certo punto, però, perse la sensibilità della mano sinistra e se la troncò via con una scure morendo dissanguato: uno dei più terribili suicidi del mondo artistico. Magris ne trae un monologo dalla forza bestiale che capovolge l'essere con l'esser stati. Non sarebbe stato meglio esser stati piuttosto che l'ansia del dover essere, obbligato alla felicità, ad avere una famiglia, a far vedere sempre che vali e sei all'altezza? C'è una metafora potente, e c'è anche Shakespeare dentro, ovviamente. Il terzo vede uno scrittore all'interno di un premio letterario stantio e noiosissimo e mi sembra che ci sia dentro molto Magris».
Da “Tempo curvo a Krems” i racconti scelti sono "Il premio" e "Lezioni di musica". «Dei cinque mi sono piaciuti tutti - continua l'attore - ma insieme a Paolo (Valerio, ndr) abbiamo alla fine preferito questi due, anche per l'ausilio delle musiche eseguite dal vivo al violoncello da Chiara Trentin. Paolo mi ha fornito un paio di indicazioni: in un passaggio mi ha chiesto di essere più spietato e distaccato. Se c'è stato uno scambio con l'autore? Libertà assoluta da parte sua: l'unica raccomandazione che ci ha fatto è stata quella di non tagliare i testi. Mi piacerebbe confrontarmi con lui: per ora sprigiono quello che mi ha evocato e vedremo se collima con la sua visione».
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«Avrebbe potuto essere un grandissimo cineasta, un grande autore cinematografico - nota Boni -: sono sicuro di questo. Magris ti fa entrare nelle immagini e negli ambienti che crea. Ti fa vedere non solo i personaggi, ma anche i luoghi dove questi si muovono: ha davvero una forte visione del quadro».
Non è l'unico grande triestino con cui l'attore lombardo ha avuto a che fare: nel '96 infatti, per "L'Avaro", l'ha scelto Giorgio Strehler. «Non ho mai più lavorato con un teatrante così: penso uno dei primi cinque al mondo. In tre secondi ti faceva capire ciò che voleva e ti esaltava con un "Bravo, così!" (Boni lo "declama" con grande enfasi, ndr) e tu ne uscivi con 10 cm da terra. Era essenza di teatro puro, totale. Maieutica ed empatia per entrare nella sensibilità dell'altro ed esaltarlo per indurlo a fare al meglio: questa la sua forza, unita a un'energia fuori dal comune, da far paura! Ruzzolava per terra - a 74 anni - per farti vedere come fare, e te la trasmetteva tutta. Eravamo a Udine con Gigi Lo Cascio, entrambi alle prime armi, e sono andato al provino senza speranza: pensavo prendesse qualcuno della sua scuola. Invece mi sono ritrovato nel cast con Ottavia Piccolo, Paolo Villaggio, l'altro triestino Mario Maranzana. Ho nel cuore quel personaggio: della mia generazione sono uno dei pochi ad aver avuto la fortuna di lavorare con lui».