Crisi umanitaria in Libano: profughi, conflitti interni e nuove emergenze sociali
Nella spettrale scatola di emergenze umanitarie (e politiche, su un futuro del Paese di cui mal ci si occupa) libanesi, il gioco di incastri è terribile e riguarda un numero non calcolabile di persone. Si parla di un milione di profughi, ma in Libano già c’erano 1,500.000 profughi siriani. Dunque parliamo di profughi libanesi? Saremmo a 2.500.000, quanto meno se contiamo gli esseri umani.
Davanti a numero del genere non colpisce il numero di fuggiaschi che hanno tentato di raggiungere la Siria, l’unico altro inferno raggiungibile via terra. In un primo momento si era parlato di un 80% di siriani e 20% di libanesi. Se così fosse ancora oggi saremmo a 80mila rifugiati siriani che hanno scelto di rientrare in patria e 20mila libanesi, di cui 5mila vengono dati come accampati nelle periferie di Damasco. Per altri cinque giorni i siriani potranno rientrare ancora gratuitamente, come accade da soli due giorni, poi dovranno farlo pagando i famosi 100 dollari a testa che il regime impone a chiunque voglia rientrare. Se si considerano i nuclei familiari numerosi e il collasso economico che si è abbattuto come uno tsunami sul Paese da quattro anni, è evidente che i più non vogliono farlo, sebbene il Libano intenda espellerli magari a rate, ma rapidamente. E non vogliono perché sanno che in Siria i loro diritti non sarebbero rispettati, diversi tra i pochi che lo hanno fatto, anche nel recente passato, sono stati arrestati o inghiottiti nel buio siriano.
Dunque non è catastrofismo, ma logica quella che induce a pensare a un rapido aumento dei barconi di disperati che cercheranno di raggiungere l’Europa, aiutati dalle autorità libanesi che vogliono liberarsene. E già oggi si sa che sui barconi del passato c’erano anche libanesi, i più poveri ma intraprendenti tra gli sciiti probabilmente, che domani potranno aumentare.
Un’altra emergenza evidente è quella delle vittime non conteggiatili. Molti villaggi o palazzi sono in macerie: sin che non si potrà intervenire per rimuovere quelle macerie chi potrà contarli, recuperarli e magari garantirgli un’onesta sepoltura?
Tutte le televisioni del mondo hanno mostrato le immagini di Beirut invasa dai profughi, gente di certo impaurita e probabilmente anche priva di un tetto. Rientrano nel milione di profughi interni di cui abbiamo parlato all’inizio, ma pongono un problema di sicurezza e di organizzazione della vita in città.
Poi ci sono i villaggi, tutt’altra storia. Qui un gruppo di sciiti del sud che arrivi in un villaggio cristiano può costituire un problema per mille motivi, non ultimo il timore che tra di loro si trovi un quadro di Hezbollah attirando anche sul quel villaggio un possibile o temuto bombardamento. Già si segnalano dei casi.
Tra diritti umani c’è, forse, anche quello all’energia elettrica, che già mancava drammaticamente nel Paese per la crisi economica: si tratta anche di contattabilità, di possibile ricerca delle persone. Il danneggiamento di centrali elettriche avrà certamente aggravato il problema. Prima della nuova guerra chi non poteva permettersi un generatore privato, o condominiale, disponeva di tre ore di corrente al giorno. Ora? Molti parlano di un problema di acqua potabile in alcuni quartieri della città.
Molte altre emergenze si prospettano, a cominciare dall’operatività degli uffici pubblici e in particolari di quelli giudiziari. Poi si vede quello monetario. Oggi, 2 ottobre, alleviando le restrizioni ai prelievi in valuta pregiata che ogni libanese può fare in misura ridotta da quattro anni, per aiutarlo a fronteggiare la crisi le autorità libanesi hanno disposto di triplicare la somma prelevabile in banca. Ma in contemporanea sono tornate a funzionare le operazioni fraudolente on line, il cui fine dicono gli esperti è destabilizzare la valuta nazionale – che ha già perso quasi ogni valore- e influire sul tasso di cambio. Ogni guerra ha i suoi sciacalli, qui si vedono all’opera anche quelli telematici.
Il diritto alla cura è sempre messo alla prova dai conflitti. Il Libano non si sottrae alla logica strettissima della guerra e per il momento non si segnala penuria di farmaci negli ospedali, ma non si citano i numerosi dispensari che ci sono nei piccoli centri.
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