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Сентябрь
2024

Leonor Fini, un’icona da esportazione

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Rilancio internazionale per Leonor Fini, pittrice triestina di madre e di formazione, musa di un’arte criptica e misteriosa, spesso geniale, trasgressiva e concettualmente d’avanguardia, in questi giorni tra i protagonisti in mostra alla Fondazione Magnani Rocca di Traversetolo (Parma). Ma non è la sola ribalta per l’artista.

Si è chiusa infatti nel giugno scorso alla Weinstein Gallery - 4500 metri quadri di esposizione nel quartiere di South of Market a San Francisco – un’importante personale di “Lolò”, nata a Buenos Aires nel 1907 e mancata a Parigi nel 1996.

Intitolata “Portraits and Passengers” presentava ritratti tradizionali, volti introspettivi dagli sguardi spesso inquietanti, atmosfere e paesaggi onirici: opere iconiche della pittrice, visionaria e precorritrice dei tempi nell’arte e nella vita.

Scelti in linea con le convinzioni di Rowland Weinstein che nel 1992 fondò la galleria, uno degli spazi espositivi statunitensi di riferimento per chi ama la poetica di Leonor, essendo specializzata in gran parte in arte non oggettiva e surrealista dall'Europa prebellica fino alla scuola di New York.

Accanto per esempio alla galleria CFM di New York, di cui era proprietario Neil Zukerman, grande amico e collezionista della Fini, mancato nel 2021. E non a caso, in armonia con i lavori della triestina, la Weinstein propone con continuità quelli di altre pittrici surrealiste, da Leonora Carrington a Kay Sage, da Stella Snead a Remedios Varo e Dorothea Tanning.

L'interesse per la Fini è aumentato negli ultimi anni da parte di collezionisti e musei anche in virtù del centenario della nascita del Surrealismo, movimento nato a Parigi nel 1924 e sancito dal celebre manifesto di André Breton, cui l’arte di Leonor era affine anche se lei non volle mai appartenervi per le caratteristiche misogine del gruppo.

Un suo magnifico dipinto, intriso di magica inquietudine, era infatti presente tra quelli dei più grandi surrealisti del mondo, da Magritte a Delvaux, da Ernst a Dalí, Mirò e de Chirico, al Bozar di Bruxelles fino alla fine di luglio in un’altra mostra dedicata al Surrealismo.

E ora una decina di lavori della pittrice sono esposti nelle sale della Fondazione Magnani Rocca, accanto a maestri quali per esempio Renoir, Monet, Cézanne, Tiziano, Dürer, Van Dyck, Goya, Canova, Morandi e Burri, nella mostra intitolata “Il Surrealismo e l’Italia” (fino al 15 dicembre).

E mentre salgono le quotazioni dei suoi quadri (nel 2020 l’olio “Personagges sur une terrasse”, dipinto a Parigi nel ’38, è stato battuto da Sotheby’s a New York a 980.000 dollari e un altro olio è stato venduto negli Usa nel 2022 a 2,3 milioni di dollari), la Fondazione Magnani colloca la Fini in posizione preminente: il catalogo della mostra si apre con una foto scattata nel corso di una delle incredibili performance di sapore teatrale e surreale che Leonor organizzava d’estate a Nonza in Corsica con i suoi amici artisti e letterati.

E molto interessante è anche lo sguardo d’insieme che la mostra offre sulle liaison artistiche e affettive di Leonor con alcuni dei suoi sodali storici, primo fra tutti il triestino Arturo Nathan, che le fu profondamente amico e anche maestro ispiratore negli anni triestini protrattisi fino al 1931, quando lei lasciò la “città degli affetti” per trasferirsi definitivamente a Parigi. E poi il pittore Fabrizio Clerici e Stanislao Lepri, validissimo artista che per lei abbandonò la carriera diplomatica, andando a formare con Leonor un ménage a trois durato una vita, in cui entrò più tardi l’intellettuale polacco Constantin Jelenski.

Ma il giusto riconoscimento a una pittrice di origine italiana, mitteleuropea, slava, balcanica e austriaca da parte di madre e campana da parte di padre, prosegue con altri due prossimi eventi: una significativa mostra intitolata “Lo Sguardo della Sfinge”, che prenderà il via al Palazzo Reale di Milano la prossima primavera, e una prestigiosa rassegna che aprirà i battenti a Francoforte nel 2026.

L’appuntamento milanese, già nel titolo, parla triestino. Leonor infatti, fin da piccolina, come testimoniano le foto d’epoca, era solita frequentare il parco del Castello di Miramare sul cui molo l’arciduca Massimiliano d’Austria, fratello dell’Imperatore Francesco Giuseppe e deus ex machina di quello che è oggi uno dei siti più visitati d’Italia, fece collocare una sfinge egizia, realizzata in granito rosa durante il Regno dei Tolomei nel terzo secolo a.C., e la bambina – narrano le cronache -, attratta più da quella misteriosa figura che dai cigni del laghetto, offriva a lei le piccole leccornie che la madre le preparava.

Una “memoria triestina” inquietante e leggendaria, che divenne un leit motiv della sua arte così come lo divennero i gatti della sua infanzia, vissuta a Trieste con la costante compagnia di un micio che stazionava in cucina. In mostra a Milano pittura, disegno, fotografia, arte decorativa, design di moda, costumi, libri d’artista e documenti, a sottolineare l’inesauribile, poliedrica creatività di un’icona del ‘900. —