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Сентябрь
2024

Roberto Ferrucci: «Jesolo e quelle partite infinite a pallone sulla spiaggia»

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C’è una spiaggia, la più importante e amata del Veneto, che per decenni è stata la spiaggia delle famiglie, la spiaggia di quando la vacanza si chiamava ancora villeggiatura, e quasi tutti potevano permettersi di starci un mese, a Jesolo, anche noi, il cui unico stipendio a entrare in casa era quello di mio padre, impiegato.

Era una località che pur già con il suo skyline di cemento a pochi metri dal mare, manteneva intatta la sua anima di spiaggia naturale, la pineta enorme, le dune.

Quando arrivavamo alle porte di Jesolo, c’erano un paio di segnali che per noi avevano lo stesso significato dello striscione dell’ultimo chilometro nel ciclismo: la carlinga di un vecchio aereo in via Roma Destra, e poi, più avanti, all’angolo con via Aleardi, la concessionaria Ford con la vecchia Ford Capri sistemata sopra a un alto piedistallo che nella mia mente è sempre stata arancio salmone e il cofano anteriore nero, identica al modellino della Matchbox che avevo a casa.

Era una Jesolo casalinga, se affittavi un appartamento, ci trasportavi la casa intera in quel mese, si trattava di un trasloco vero e proprio, ci incontravi sempre le stesse famiglie. Insomma, erano dei rituali che oggi non esistono più, a parte qualche invisibile eccezione.

È cambiato tutto. Ci si va avanti e indietro, adesso, solo per qualche giorno, poi si torna a casa, poi di nuovo lì. Si è adeguata ai tempi, Jesolo, e i tempi richiedono frenesia, intensità, baccano. È diventata la spiaggia della movida, dello sballo.

Il 18 settembre 1984 mio padre compiva cinquant’anni. Oggi sarebbero stati novanta e ce l’aveva quasi fatta ad arrivarci. Quella mattina mia madre tornò dalla spesa con il primo numero de La Nuova Venezia in borsa, e io già sapevo che ci avrei scritto, collaboravo da un po’ a Il Mattino di Padova, nato qualche anno prima.

Da poco eravamo rientrati da Jesolo, l’ultima vacanza fatta con i miei genitori (e doveva essere più o meno la ventesima consecutiva) all’Hotel Trento, che era a conduzione famigliare, la proprietaria cuoca sopraffina, al bar c’era ancora il jukebox e quell’anno credo di averli consumati, i solchi del 45 giri di Hurricane di Bob Dylan.

La “Jesolo verticale”, quella recente composta di grattacieli chiamati torri, non era ancora nei pensieri di nessuno, lo sguardo poteva ancora spaziare agevolmente ad altezza uomo, il colpo d’occhio non era spezzato, interrotto da edifici di vetro e cemento. La notte potevi ancora andare in spiaggia a guardare le stelle e quell’estate del 1984 avevo potuto farlo cercando di imitare il signor Palomar di Italo Calvino nel racconto L’occhio e i pianeti, uscito l’anno prima.

Oppure si poteva accendere un falò in riva al mare, sedercisi attorno, tirare fuori una chitarra, “Quella sua maglietta fina” e poi tutti in acqua a mezzanotte. Cose (meravigliose) che nella Jesolo verticale di oggi, non si possono più fare. Così come quelle furibonde sfide Italia-Germania che non finivano mai soltanto 4-3, ma 16-15 o giù di lì.

Le giocavamo verso sera sul bagnasciuga, e nessuno si sarebbe mai sognato di mandarci via. Finita la partita, aiutavamo il bagnino a raccogliere uno a uno gli ombrelloni e così ci guadagnavamo un giro in pedalò il giorno successivo. Che bello era guardare la spiaggia dal mare, riconoscere gli stabilimenti in base ai colori di sdraio e ombrelloni. Era variopinto, il paesaggio balneare, allora.

Sì, oggi è cambiato tutto, divieti su divieti, le mareggiate sempre più frequenti che si mangiano la spiaggia, e poi cemento, vetro, acciaio, che si sono mangiate gran parte della bellissima pineta. Ma è il segno dei tempi, come si usa dire, e poi la nostalgia sta diventando il contraltare di questi nostri tempi, anche a Jesolo le playlist nei bar sono piene dei successi anni settanta e ottanta, quando la musica la facevano i musicisti e non le applicazioni.

Poi però, fra altri quarant’anni, per gli ottanta della Nuova, ci sarà qualcuno, statene certi, che rimpiangerà la Jesolo del 2024. Intanto, nostalgie a parte, vale comunque la pena godersela, a prescindere, la spiaggia più amata del Veneto.

Scrittore e traduttore

Roberto Ferrucci, classe 1960, è scrittore con nove libri all’attivo, tra cui “Giocando a pallone sull’acqua” per il quale ottiene il premio letteratura istituito dal Coni e arriva finalista al Premio Bancarella, e Andate e ritorni, scorribande a nordest, finalista al Premio Settembrini 2004. È il traduttore italiano di Jean-Philippe Toussaint e di Patrick Deville. Dal 2002 insegna scrittura creativa a Padova.