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Сентябрь
2024

Omicidio di Mestre, l’amico di Giacomo: «Siamo scattati d’istinto, lo rifarei»

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«L’omicidio di Giacomo ha un colpevole, certo, quello fermato dalla polizia. Ma in realtà ne ha tanti altri: tutti quelli che hanno amministrato questa città per anni e che hanno seminato odio e razzismo, hanno parlato di sicurezza solo in termini di militarizzazione, hanno fatto i propri interessi invece che il bene di tutti».

Sebastiano Bergamaschi, da anni in prima linea nei cortei organizzati con il Rivolta, con Fridays for future, con Pandora, è abituato a parlare al megafono.

Eppure prima di prendere la parola sulla tragedia che l’ha visto protagonista e che gli ha strappato un amico fraterno ha aspettato due giorni.

Lunedì la sua voce, ancora provata, si faceva più forte proprio nel richiamare le battaglie di sempre.

«Zoppico ancora, sì», confermava parlando della gamba dove è stato colpito dalla coltellata, «Ma in corpo sento ancora più di prima la necessità di darmi da fare, di non sprecare neanche un minuto».

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E non esita a puntare il dito contro Ca’ Farsetti: «Chi governa Venezia da nove anni ha sempre usato l’odio e la paura per distrarre l’attenzione dalla speculazione sul territorio che porta avanti con soldi pubblici, gli stessi che dovrebbero invece servire a migliorare la qualità della vita, a evitare che succedano cose come questa. Per una città migliore non servono atti eroici, non ci sono i superpoteri, le cose cambiano se le facciamo cambiare tutti assieme. E se ci rendiamo conto che aiutare gli ultimi significa aiutare tutti, e non sprecare risorse per i cittadini di serie A».

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Ideali netti, che Sebastiano condivideva con Giacomo Gobbato: «Ci conoscevamo da dodici anni, praticamente da tutta la vita. Siamo diventati amici a scuola, poi abbiamo condiviso tutto: ci siamo resi conto assieme che era necessario cambiarla, quella scuola, ma poi abbiamo capito che non si può combattere su un fronte soltanto, che è tutto collegato. E allora dalla Rete studenti medi siamo entrati a fare parte anche dei laboratori, del centro sociale Rivolta. Sempre uniti, lui anche con la musica, con i tatuaggi».

Ricordare “Jack” è difficile, la voce si spezza, ma le parole non mancano: «Giacomo era una persona straordinaria, sapeva entrare in contatto con chiunque nel giro di cinque minuti. Quando arrivava in una stanza la riempiva della sua energia e, in un attimo, quell’energia travolgeva tutti i presenti, tutti finivano per seguirlo».

Più complicato è parlare di quanto accaduto venerdì notte, di quegli istanti tremendi: «Le ricostruzioni sono piuttosto precise, ma per noi è stata questione di un attimo: abbiamo sentito una donna gridare, abbiamo visto un uomo correre e non ci abbiamo pensato un secondo, siamo scattati. Non è una decisione razionale, non è una scelta che si compie in quel momento, ma credo sia invece una disposizione mentale che si coltiva lungo tutta una vita, magari proprio attraverso l’impegno sociale. Poi diventa un istinto, anche perché se ci si fermasse a pensarci troppo probabilmente non si farebbe nulla. Lo rifarei mille volte - conclude - ma il punto è un altro: non deve succedere più e non deve esserci bisogno di un altro Giacomo perché questo non si ripeta».