Fornero: «Calo demografico, una sfida per l’Italia dei prossimi anni»
L’inverno demografico si attesta come un argomento di stretta attualità. Non solo perché una popolazione anziana avrà un bisogno sempre maggiore di cure sanitarie, ma anche perché la penuria di giovani potrebbe minare le fondamenta del nostro sistema previdenziale. Ne parlerà sabato a Trieste Elsa Fornero, già Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali nel Governo Monti, sotto il quale nel 2011 realizzò una delle più significative riforme del sistema pensionistico italiano. La docente universitaria sarà uno dei grandi protagonisti di Trieste Next, il festival della ricerca scientifica che si terrà a Trieste dal 27 al 29 settembre, quest’anno promosso anche da Nord Est Multimedia (Nem), il gruppo che edita anche questo giornale.
Professoressa Fornero, può descrivere il rapporto tra andamento demografico e crescita economica?
«Se la popolazione cresce troppo, può essere difficile inserire le nuove generazioni all’interno dei processi produttivi. Ma noi abbiamo il problema opposto, con una popolazione che decresce a ritmi abbastanza rapidi. I demografi sanno che i cambiamenti demografici sono un po’ come le acque carsiche, che erodono la roccia in maniera molto lenta, e hanno avvertito da tempo. Eppure, adesso sembra che ci troviamo di fronte a un’emergenza. Si tratta invece di un cambiamento strutturale».
Come inciderà sulla nostra economia?
«È difficile che il calo demografico incida in maniera positiva. Da una parte, porterà a un “degiovanimento” della popolazione, come lo ha chiamato Alessandro Rosina: il rapporto tra il numero delle persone in età non più di lavoro e quello di persone in età attiva aumenta, perché ci sono meno nascite e al tempo stesso la mortalità diminuisce, in particolare in età anziana. Oggi essere ultracentenari non è più un evento eccezionale. D’altra parte, una società che invecchia è una società meno dinamica, meno disposta a investire in attività rischiose, a scommettere su un futuro migliore. Insomma, c’è meno capacità di innovare. In termini appena un po’ più tecnici, ci sarà una minore produttività media del lavoro. E siccome la crescita dipende dalla variazione del numero dei lavoratori e dall’aumento della produttività di chi lavora, è chiaro che il PIL farà più fatica a crescere. Potremo trovarci in una situazione di stagnazione».
Come cambierà il welfare?
«Innanzitutto, voglio specificare che invecchiare è un dato di progresso del quale dobbiamo essere contenti. Ma è anche chiaro che l’invecchiamento richiede un adattamento dell’economia e della società, per esempio in termini di spesa sociale. Le persone anziane possono avere problemi di cura, di carenza di strutture, di solitudine. La famiglia allargata di un tempo non c’è più, anzi le famiglie spesso sono formate da una persona sola e anziana. Tutto questo richiede un cambiamento nel modello di welfare. Quindi, da un lato dobbiamo soddisfare maggiori richieste per il benessere degli anziani, che sono per definizione fuori dall’attività produttiva; dall’altro abbiamo meno risorse da spendere, ad esempio, per aumentare le opportunità occupazionali dei giovani. Le risorse non sono infinite».
E le pensioni?
«La spesa destinata agli anziani non può limitarsi alla spesa pensionistica. In passato abbiamo pensato che per gli anziani bastassero le pensioni, e per gli altri problemi di cura avrebbe provveduto la famiglia, tipicamente le donne, che se ne sarebbero prese cura. Questo non risponde più alle esigenze attuali. Intanto perché chiediamo che le donne lavorino, come contributo alla crescita oltre che per la loro indipendenza economica, e quindi per la loro libertà di scelta. In secondo luogo, c’è un grandissimo problema di cura degli anziani, che non può essere risolto semplicemente aumentando l’importo delle pensioni più basse. Nossignore: ci vogliono anche strutture e servizi adeguati».
Sempre a proposito di pensioni, il calo demografico metterà a rischio la tenuta del sistema previdenziale?
«Abbiamo una popolazione che diminuisce e invecchia in modo piuttosto rapido, e un sistema previdenziale basato su un meccanismo che si chiama ripartizione: vuol dire che quelli che lavorano pagano i contributi e i pensionati ricevono quei contributi sotto forma di pensione (lo Stato aggiunge ciò che manca). È chiaro che se i giovani si riducono, e magari hanno difficoltà a trovare lavoro e decidono di andare all’estero, anche l’ammontare dei contributi si riduce ed è difficile pagare le pensioni. Se le cose continuassero in questo modo, anziché finanziare le pensioni con i redditi di chi lavora, potremmo avere bisogno di finanziarle tassando i patrimoni. Il che significa tassare le persone anziane, la generazione che ha potuto accumulare un po’ di ricchezza. Sto solo facendo uno scenario futuro, se vogliamo un po’ radicale. E in Italia l’idea che si tassino i patrimoni fa sempre insorgere qualcuno…».
Ci sono alternative?
«Le politiche per la famiglia, finalizzate ad alzare il tasso di natalità, hanno tempi molto lunghi. Quindi, se ci ostiniamo a dire che non vogliamo immigrati, non ci sono alternative all’aumento dell’età pensionabile e, eventualmente, alla tassazione della ricchezza nazionale».
Politiche di cittadinanza come lo ius scholae potrebbero contribuire a risolvere il problema?
«Sì, certo. Un bambino che nasce in Italia, che ha i genitori che da anni vivono e lavorano nel nostro Paese, perché non dovrebbe essere considerato un cittadino italiano? Il fatto di non riconoscerlo è negativo non solo per lui, ma anche dal punto di vista sociale, perché anziché integrarlo potrebbe spingerlo a sentimenti di antagonismo. Io vorrei veramente che il Parlamento togliesse gli argomenti più ideologici rispetto a questo tema e arrivasse a un’apertura e a un provvedimento, anche bipartisan. Abbiamo bisogno di giovani italiani, non importa di che colore hanno la pelle, che studino in Italia, apprendano modelli di comportamento comuni e siano contenti di essere cittadini italiani. Questo difficilmente risolverà i nostri problemi demografici, ma almeno li allevierà».
Il calo demografico porterà a cambiamenti anche nel sistema educativo?
«Il sistema scolastico di per sé dovrebbe alleggerirsi, per la diminuzione di giovani. Ma noi dovremo investire nella scuola per aumentare la qualità dell’insegnamento e della preparazione dei nostri ragazzi». —