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Сентябрь
2024

Scienza e scrittura: a Trieste Next una sfida a cinque per il miglior libro

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La luce del crepuscolo filtra tra gli alberi nel parco del campus di un istituto di ricerca nel Sud dell’India. Seduti a un tavolo l’uno di fronte all’altra, ciascuno con la sua ciotola di riso, un fisico teorico italiano che studia l’origine dell’Universo e una giovane studentessa indiana. Intrecciano un dialogo fatto di parole a bassa voce e di equazioni vergate su un foglio. Ma anche di lunghi silenzi che sfidano l’infinito.

È il poetico epilogo di “Prima del Big Bang” (Rizzoli) di Gian Francesco Giudice, uno dei cinque libri finalisti del Premio Trieste Next nell’ambito del festival della ricerca che quest’anno è promosso dal gruppo Nord Est Multimedia (Nem) che edita anche questo giornale (qui il link all’evento).

Quello di Gian Francesco Giudice (direttore del Dipartimento di fisica teorica del Cern, laurea a Padova e dottorato alla Sissa) è un viaggio vertiginoso che risale il tempo e lo spazio, cercando di penetrare la frontiera del Big Bang. Ma scordatevi il mito dell’Universo nato 13,8 miliardi di anni fa da un’immane esplosione originata da una “singolarità puntiforme”. La storia qui raccontata è ancor più complessa e affascinante. Parte da Edgar Allan Poe col suo poema “Eureka” per approdare alla teoria dell’inflazione cosmica di Alan Guth, in cui l’energia del vuoto dilata lo spazio-tempo fino alle dimensioni attuali.

Di origine indiana è Ananyo Bhattacharya, autore di “L’uomo venuto dal futuro”(Adelphi), corposa biografia del matematico e fisico John von Neumann (1903-1957). Bhattacharya ha studiato fisica a Oxford, ha un dottorato in cristallografia delle proteine all’Imperial College di Londra, poi ha lavorato come ricercatore medico a San Diego prima di diventare science writer (“Nature”, “Economist” e altro).

In un affresco ricco di dettagli e aneddoti, Bhattacharya ricostruisce la vicenda umana, scientifica e politica di John von Neumann, geniale (e inquietante) scienziato nato in Ungheria e naturalizzato statunitense. Per più di quarant’anni fu collega a Princeton di Albert Einstein e di Kurt Gödel, i due grandi rivoluzionari della fisica e della logica matematica. Poliglotta dalla memoria straordinaria, dandy brillante che amava le donne e le auto sportive, von Neumann seppe anticipare il futuro in campi diversissimi: dalla teoria dei giochi (che diede una svolta alla teoria economica) fino alla meccanica quantistica, dai supercomputer alla tecnologia nucleare e ai cambiamenti climatici. Un visionario del XX secolo con la mente nel XXI secolo. Venne scelto da Oppenheimer per il Progetto Manhattan. E dopo il tracollo del Terzo Reich sostenne la necessità di armi nucleari sempre più potenti contro la minaccia potenziale dell’Unione Sovietica, fino a caldeggiare un conflitto preventivo con il nuovo nemico.

Il tempo profondo dell’evoluzione umana è lo scenario su cui si muove “Misurare la storia” (Cortina) di Sahra Talamo. Un curriculum, il suo, tutto segnato dal carbonio-14, l’“orologio atomico” che ci consente di datare reperti biologici fino a 55 mila anni fa: laurea in scienze naturali, dottorato in archeologia, oggi professoressa ordinaria al Dipartimento di chimica dell’Università di Bologna, dove si occupa di bioarcheologia. Nel 2018 Talamo ha vinto un prestigioso premio Erc dell’Unione europea: 1,5 milioni di euro da investire in un progetto di eccellenza nell’arco di cinque anni.

Per Sahra Talamo questo progetto di eccellenza è quasi un’ossessione: studiare quella manciata di migliaia di anni in cui le popolazioni di Homo sapiens e di Homo neanderthalensis si sono incrociate mescolando i propri geni (come dimostra quel 2-6 per cento di geni neanderthaliani che conserviamo nel nostro Dna). «Noi Homo sapiens – ricorda Talamo – nasciamo in Africa circa 300 mila anni fa per poi espanderci in Europa, e intorno a 50 mila anni fa iniziamo a interagire con i nostri cugini più prossimi, i neanderthaliani. La nostra evoluzione non è un’evoluzione come quella di altre specie animali o vegetali, è un’evoluzione fatta di concetti, di parole, di necessità. Forse è per questo che a partire da 39 mila anni fa rimaniamo l’unica specie umana sul pianeta?».

Lo svedese Svante Pääbo ha ricevuto nel 2022 il Nobel per la medicina per aver creato la paleogenetica datando gli incroci tra Sapiens e Neanderthal. Sahra Talamo, assieme ai suoi collaboratori, lavora sui resti dei nostri cugini scomparsi (e su alberi fossili) utilizzando la datazione del radiocarbonio.

Laura Tripaldi è una giovane nanotecnologa che nei suoi saggi si occupa spesso di tematiche femministe. In “Gender Tech” (Laterza) affronta sotto una prospettiva spesso provocatoria il lato oscuro delle nuove tecnologie nei confronti del corpo della donna. Scrive: «Ho scelto di approfondire il rapporto tra genere e tecnologia a partire dalla storia di alcune tecnologie contemporanee che hanno agito e continuano ad agire attraverso il corpo delle donne: dallo speculum ginecologico alla contraccezione ormonale del test di gravidanza all’ecografia, fino alle nuove tecnologie digitali per il controllo della fertilità».

Spiazzante il primo capitolo, dove le pratiche violente associate alla cura dell’isteria si coniugano con la moda dello spiritismo che al tempo della belle époque aveva conquistato anche fior fiore di scienziati. A cominciare dall’antropologo Cesare Lombroso, che da studioso positivista si tramutò in fervente spiritista sottoponendo celebri medium (Eusapia Palladino su tutte) a indagini e controlli – abilmente elusi dalle donne che conducevano le sedute di presunti contatti con i defunti.

Infine l’elogio dell’errore. Perché l’errore fa parte della nostra vita. Eppure noi umani lo respingiamo invece di imparare a conviverci. Nel suo” Storie di errori memorabili” (Laterza), Piero Martin, ordinario di fisica sperimentale all’Università di Padova, esperto di fusione nucleare, raccoglie una serie di svarioni che hanno visto protagonisti illustri scienziati (e non solo). A cominciare da quello commesso da Enrico Fermi nel 1938 nella sua Nobel lecture all’Accademia reale delle scienze di Svezia. In cui sostenne di avere ottenuto due nuovi elementi più pesanti dell’uranio. In realtà non si era reso conto di aver realizzato la fissione nucleare (un fenomeno che allora nessuno conosceva) e che i due elementi erano in realtà i frammenti di quel processo. Si affretterà ad aggiungere un errata corrige al testo della sua lezione.

E che dire della costante cosmologica introdotta da Einstein nelle sue equazioni per far apparire statico l’Universo? Qualche anno più tardi la definirà «il più grande errore della mia vita» e la toglierà. Compiendo un secondo errore epocale.

Fra i tanti errori in campo biologico, vale citare quello del chimico Linus Pauling che, forte del suo Nobel per la struttura delle proteine, aveva ipotizzato una tripla elica per la struttura del Dna. Facendosi così scavalcare da Watson e Crick, che conquistarono Nobel e fama imperitura con la loro iconica doppia elica. Eppure a volte – insinua Piero Martin – «c’è del genio nell’errore». Cinquant’anni fa Steven Spielberg stava girando “Lo squalo” servendosi di grandi animali meccanici. Uno di questi doveva spalancare in primo piano le enormi fauci dentate. Ma, nonostante le prove in una piscina d’acqua dolce, nelle riprese in mare lo squalo si capovolgeva a pancia in su. Si scoprì che l’acqua salata ne aveva danneggiato i componenti elettromeccanici. Spielberg trasformò lo sbaglio in opportunità, girando le scene “in soggettiva” viste attraverso gli occhi del mostro meccanico. E il film fu il suo primo grande successo. —

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