In pensione il primario della Chirurgia pediatrica di Padova: «Insegnerò ai medici in Africa»
Oltre quarant’anni tra corsie e sale operatorie dell’Azienda Ospedale-Università di Padova: compiuti i 70 anni il professor Piergiorgio Gamba, direttore della Chirurgia pediatrica - oltre 1.500 interventi l’anno - storce il naso a sentir parlare di “collocamento a riposo”.
Dura lex, sed lex: dal primo ottobre sarà ufficialmente pensionato, ciò non significa tuttavia che smetterà di “operare”. Nel futuro prossimo del professore, infatti, c’è la collaborazione con Emergency, in particolare negli ospedali in Uganda e Tanzania.
Professor Gamba, dopo tanti anni quale eredità lascia nell’ospedale padovano?
«Credo innanzitutto un gruppo di uomini e donne con cui siamo cresciuti e abbiamo collaborato raggiungendo traguardi importantissimi che non solo saranno mantenuti ma verranno superati. Sono particolarmente orgoglioso della nostra Scuola di specializzazione che è la più grande d’Italia e che ha saputo sviluppare una rete interregionale che coinvolge Veneto, Trentino, Piemonte ed Emilia Romagna con diversi ospedali impegnati nella formazione degli specializzandi».
Quali risultati in particolare sente di poter rivendicare?
«Dal punto di vista strettamente clinico abbiamo raggiunto eccellenze soprattutto nell’ambito dei trapianti di rene pediatrico, così come nel campo delle malformazioni congenite. Abbiamo sviluppato tecniche mininvasive e promosso un progetto di chirurgia robotica, soluzioni che ci hanno permesso di ottenere ottimi risultati anche nella chirurgia oncologica e negli interventi sui neonati prematuri.
Abbiamo operato con successo bimbi che pesavano 500 grammi. Siamo stati il primo centro a entrare nella rete europea della malattie rare proprio nell’ambito delle malformazioni congenite dei neonati, un risultato che ha dato impulso e visibilità».
Fino a che età seguite i pazienti?
Sulla carta da zero a 15 anni, in realtà “sforiamo” sia prima che dopo: da una parte con i prematuri, dall’altra con ragazzi anche di 16 o 18 anni che abbiamo seguito sin da piccolissimi e che poi continuiamo a seguire. È un capitolo importante quello della transizione dalle cure pediatriche a quelle per adulti e grazie alla sensibilità del direttore generale Giuseppe Dal Ben si stanno sviluppando dei protocolli dedicati».
Quali peculiarità ha la chirurgia pediatrica?
«Dal punto di vista strettamente tecnico è ovviamente collegata al peso e alle dimensioni del paziente. Dal punto di vista umano si pone una sfida su più piani perché non c’è solo il paziente ma anche la sua famiglia, i genitori e spesso anche i nonni: nostro compito è rapportarci anche con loro fin dalla fase prenatale quando il problema viene riscontrato nel nascituro.
Quello della comunicazione è un aspetto molto importante: bisogna sapere essere chiari e semplici, trasmettere messaggi corretti, onesti, senza alimentare false speranze e senza incutere timori ingiustificati. È un aspetto su cui lavoriamo molto».
Qual è il più bel ricordo che le lascia questo lavoro?
«Le centinaia di abbracci di mamme e papà, le tantissime manifestazioni di affetto e stima ricevute dalle famiglie e dagli stessi pazienti. Di recente è venuto a trovarmi un ex paziente a cui abbiamo trapiantato un rene quando era piccolissimo: oggi è diventato un medico, una scelta che ha fatto proprio per la sua esperienza».
Le peserà anche qualche brutto ricordo?
«In questo lavoro ci sono anche gli insuccessi, inevitabili, e dobbiamo accoglierli come fonte di insegnamento. Non ci si abitua mai e quando il paziente è un bambino è ancora più dura perché quella che si interrompe è una prospettiva di vita lunga. Per questo è più grande anche la soddisfazione quando tutto va bene».
Come vede il futuro della Chirurgia pediatrica a Padova?
«Lascio un gruppo con altissime e variegate competenze che saprà crescere ancora. Abbiamo diversi nostri giovani medici in giro per il mondo e sarebbe bello farli tornare qui a lavorare ma servirebbe un intervento globale per valorizzare anche economicamente questa professione. Padova deve continuare a essere attrattiva e in questo la presenza dell’Università è fondamentale».
E nel suo futuro cosa c’è?
«Collaborerò con Emergency - un legame instaurato già da molti anni - con cui vorrei sviluppare un progetto di didattica di chirurgia laparoscopica per gli ospedali in Tanzania e Uganda. E poi avrò più tempo per delle belle escursioni in montagna».