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Сентябрь
2024

I libri secondo Aramburu: «Sono una cura contro l’odio»

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Con “Patria”, nel 2016, il mondo letterario si accorse di Fernando Aramburu, scrittore spagnolo di San Sebastián e ottimo conoscitore di filologia ispanica. «Ho vissuto abbastanza per sapere che nulla dell’essere umano è stabile». Ecco uno dei tanti aforismi di un pensatore costretto, sin da ragazzo, a vivere nella pancia della dittatura. Il nazionalismo che sublima la patria, appunto, Aramburu l’ha scandagliato nella narrazione epica della società basca lacerata dal conflitto con l’ETA.

A pordenonelegge 25 — che lo accoglierà oggi, alle 15 allo spazio Gabelli — il romanziere sessantacinquenne è arrivato con sottobraccio un’opera di fresca stampa, “Il bambino” (Guanda), che si riappropriata delle atmosfere di “Patria” provocando un abile impasto realistico/fantasioso agganciando un fatto accaduto nel 1980 che ricade su una famiglia costretta ad affrontare una dolorosa perdita.

Con quale sentimento si è approcciato a questo avvenimento che conclude la tetralogia dedicata alla gente basca, iniziata con “I pesci dell’amarezza” e poi perseguita con “Anni lenti” e “Figli della favola”?

«È una tragedia accaduta nella mia terra quando avevo ventuno anni. Fu la radio a informarmi di una scuola esplosa per una fuga di gas che si rivelò letale per una cinquantina di bambini. Sono eventi difficili da rimuovere dalla mente. Una storia che negli anni mi ha interpellato e parlato sottovoce fino alla decisione di farla rivedere in un libro».

Lei ha detto che la letteratura è una cura contro l’odio, decisamente un sentimento contemporaneo molto forte. Ci spiega meglio?

«Un’affermazione del genere va calata nello specifico. Io mi impongo ogni volta una sorta di filtro morale e mi assumo la responsabilità dei testi che diffondo. Ovviamente sono contrario alla pubblicità dell’odio e della violenza nonostante i miei personaggi non siano tutti dei santi. Non penso che la letteratura abbia una funzione sociale, altrimenti basterebbe gettare dei libri in un campo di battaglia per avere pace e amore. Non è così. Sarebbero necessari milioni di lettori per avere un risultato tangibile, ma questo avviene soltanto per i best sellers. Gli scrittori, in conclusione, raggiungono più seguaci nelle interviste che concedono piuttosto che nei libri che scrivono».

Qual è il compito che lei si prefigge prima d’iniziare a far vivere una nuova avventura?

«Al punto uno di una mia scala di valori c’è l’impormi di raggiungere l’umanità con le mie parole. Da sempre osservo le persone come si vestono, come camminano, come si ammazzano, come si amano. Mi prefiggo di comporre un ritratto di una parte del mio tempo e finora nessun lettore è venuto da me dicendomi: da quando ti leggo ho smesso di odiare».

“Il bambino” è molto commovente però sembra un libro trattenuto e la Spagna sta sullo sfondo e non compare mai. È stata una scelta?

«Prima di affrontare una qualunque esposizione prendo delle decisioni di carattere formale e scelgo il tono e la personalità del testo, quindi mi concentro sulla storia. Questa è stata affrontata con attenzione massima e in relazione al carattere dei baschi, gente introversa e di poche parole. Detto ciò mi sono imposto uno stile succinto e non barocco».

Lei è riuscito a convincere l’Europa per l’assegnazione dello Strega internazionale. Decisioni che la rendono felice?

«In realtà soltanto in seguito me ne resi conto. Quando mi dissero che l’avevo vinto pensavo fosse un riconoscimento di poca importanza. Anche se ogni alloro ricevuto, sì, ti riempie il cuore». —