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Сентябрь
2024

Autonomia: dialogo tra Zaia e Flick sull’Italia del futuro

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Gli approcci sono inevitabilmente diversi, visto che il dialogo pone di fronte un politico e un giurista. E opposte sono le valutazioni e le soluzioni, dal momento che il governatore del Veneto è il simbolo di chi chiede più poteri per le regioni e l’ex presidente della Corte costituzionale guida il comitato che chiede un referendum per impedire che ciò accada.

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Ma nel primo faccia a faccia sulla legge per l’attuazione dell’Autonomia differenziata, le analisi che Luca Zaia e Giovanni Maria Flick affidano ai nostri giornali trovano comunque alcuni punti di contatto: dal giudizio sui ritardi che l’Italia ha accumulato nel decentramento all’impegno sulla difesa dei diritti e sul cambio di velocità che la macchina amministrativa richiede. Fino a riconoscere l’imperativo di andare oltre gli slogan di facile presa del dibattito pubblico – «Diventeremo più efficienti», «No, così si spacca il Paese» – e recuperare un dialogo approfondito poiché la legge Calderoli disegna un’Italia diversa da come l’abbiamo conosciuta fino a oggi.

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La Costituzione, a partire dall’articolo 5 e dalla riforma del titolo V, promuove il decentramento. La legge sull’Autonomia rispetta o no i principi della Carta?

Zaia: «Premesso che non sono un giurista, nel dibattito di questi anni sull’autonomia tanti costituzionalisti hanno sostenuto che non fosse neppure necessario avere una legge. Questo testo, quindi, è prima di tutto un atto di rispetto nei confronti del Parlamento. Seconda cosa, oggi sento un sacco di affermazioni non vere sul tema, da chi non ha studiato la questione. Che è semplice: in Italia è in corso un lento e costante processo di decentramento amministrativo. Con questo testo lo acceleriamo».

Flick: «A mio avviso la legge non rispetta i dettami costituzionali nel merito e nel metodo. Perché non stiamo parlando di semplice decentramento amministrativo di determinate funzioni, sul quale posso essere d’accordo. Questa legge prevede il decentramento legislativo su diverse materie, parla di attribuire la competenza a legiferare alle regioni che ne fanno richiesta, che è cosa molto diversa. Perché il rapporto Stato-Regioni definito dall’articolo 5 della Costituzione non vuol dire decentrare la possibilità di fare leggi. Purtroppo, poi, la modifica del titolo V della Costituzione, all’articolo 116, ha fatto un po’ di confusione, lasciando equivocare una sostanziale identità tra decentramento legislativo e amministrativo”.

Ma già oggi le regioni possono legiferare, no?

Z.: «Facciamo un caso emblematico, la Sanità. Abbiamo il decentramento amministrativo, che prevede anche la possibilità legislativa e non abbiamo certo fatto danni».

F.: «Io ragiono sul principio. Nulla vieta che nelle materie che possono essere affidate alle regioni, le regioni stesse possano legiferare sulle funzioni da gestire, ma appunto vale per le funzioni, non per le materie. E’ un testo che finisce per svalutare le regioni a statuto speciale, ad annullare la loro peculiarità, perché quelle ordinarie potrebbero ottenere ancora più prerogative rispetto a loro».

Pensando invece all’applicazione della legge, quali sono i punti di preoccupazione?

F.: «Ne vedo tre. E’ stata ignorata la problematica della città, della realtà urbana, mentre gli studi ci dicono che nel 2050 probabilmente in campagna non ci sarà quasi più nessuno. Sbagliato quindi fermarsi all’ambito regionale. Poi penso alla contrapposizione che il presidente Zaia ha avuto con la Cei. Siamo una repubblica libera, laica (non laicista) e pluralista, la Costituzione non impone di seguire ciò che dice la Chiesa. Ma credo sia utile valutarla come termometro del problema relativo alla mancanza di solidarietà che c’è in questo Paese».

Qual è la terza preoccupazione?

F.: «Quella sui costi, ed è la più seria. Alcuni componenti della commissione di Sabino Cassese che ha lavorato alla legge e ha cercato di definire i Lep (i Livelli essenziali delle prestazioni, ndr) hanno poi abbandonato l’organismo per la difficoltà ad affrontare il problema dei costi. E anche la Banca d’Italia e l’Ufficio bilancio del Senato hanno sollevato interrogativi. Non si capisce quando ci costerà».

Z.: «Rispondo volentieri su tutti i punti. Noto che c’è attenzione su tanti aspetti soltanto ora che questo governo ha affrontato il tema autonomia. E’ un fenomeno recente, però, mentre io non credo che sia mancata la considerazione ai diversi aspetti. Quanto alle osservazioni della Cei, ho scritto al presidente, il cardinal Zuppi, gli ho detto che non credo sia giusto immaginare cattolici buoni e cattivi a seconda di come giudicano l’autonomia e lui ha risposto con una bellissima lettera che tengo riservata. Però voglio ricordare che in Veneto, la regione dalla quale parte il processo autonomista, una persona su 5 fa volontariato e il 70% dei ragazzi delle superiori si è detto pronto a farlo. Insomma, non si può dire a noi che non siamo attenti alla solidarietà».

F.: «Ciò non toglie che esiste il rischio che aumenti il divario tra regioni più e meno avanzate».

Z.: “Ma questa è una nostra preoccupazione. Anche il più ipocrita, meschino, dei cittadini che sostiene l’Autonomia, sa che siamo come i gemelli siamesi. Se abbiamo regioni che sprofondano, trascinano giù le altre. Però attenzione, non può passare la narrazione che dice “se diamo da fare i passaporti all’ufficio postale di Treviso, che è più efficiente – per dire – di quello di Crotone, ci guadagnano i cittadini trevigiani”. E’ un ragionamento che sento sulla Sanità, c’è chi dice che dare più autonomia farebbe decollare ancora di più regioni che vanno bene. Stiamo cioè teorizzando che bisogna curare male i cittadini?”

Presidente Zaia, il tema dei costi però è reale. Lei non è preoccupato?

Z.: «Qui c’era un mantra: “Se non si fanno i Lep – si diceva – non si può fare l’Autonomia”».

F.: «Lo dice la Costituzione. Ma i Lep vengono introdotti solo per alcune materie».

Z.: «Ma lo ha deciso la commissione, non noi. Cassese ha identificato le materie cosiddette lepizzabili, 14 su 23, 9 non lo sono. Ne prendiamo atto. Questo Paese ha predicato per anni che i Lep erano la soluzione a tutti i mali per garantire a tutti i diritti sociali e i diritti civili. Me lo sono sempre sentito ripetere».

F.: «I Lep non possono essere limitati ad alcune materie, riguardano tutti i diritti sociali e civili. E’ sbagliata la divisione tra materie Lep e non Lep».

Z.: «Mi scusi, ma questo andava detto ad alcuni suoi colleghi, non a me. Se Cassese identifica 14 materie, cominciamo da queste. Con la Finanziaria 2023 è stata decisa l’obbligatorietà dell’applicazione dei Lep. Perché nessun governo l’ha fatto prima? Questo lo ha finalmente fatto e allora scatta il nuovo ritornello: eh, ma costa troppo, dove troviamo i soldi?”. Ho capito, ma restiamo al punto cruciale. La nostra preoccupazione sono i diritti sociali e civili? Impegniamoci a fare di tutto per garantirli».

F.: «Certo, ma mi preoccupo dei costi perché ora è il momento di pensare a quanto si spende. E un altro aspetto mi sconcerta: il fatto che la legge non preveda momenti di valutazione collettiva, nazionale, dell’attuazione, limitando così notevolmente il ruolo già svalutato del Parlamento”.

Z.: «Guardi, io credo che quei miei colleghi oggi contrari, quando vedranno la proposta del Veneto, saranno in difficoltà a dire che non la vogliono pure loro».

F.: «Il Veneto in passato chiese le 23 materie. Se le chiedessero tutti, che cosa resterebbe allo Stato?».

Z.: «In questa fase non lo stiamo facendo, stiamo cercando in maniera solidale di far partire un discorso virtuoso, dopodiché c’è anche una visione di architettura dello Stato. Riprendo il caso della Sanità: è immorale che ci siano cittadini costretti a farsi la valigia per andare a curarsi fuori regione, però la narrazione non può essere quella di dire che è colpa del Nord».

F.: «E’ colpa dell’inefficienza generale, non del Nord».

Z.: «A chi colpevolizza il Nord, ricordo che il Veneto ha 300 milioni di incassi dall’immigrazione sanitaria. Qualcuno dice che ci guadagniamo. Ma attenti, l’immigrazione sanitaria, che facciamo volentieri, sono i casi disperati, perché casi dove la Sanità guadagna, tunnel carpali, appendiciti, ernie, le persone li curano dove abitano. E mi perdoni, non possono lamentarsi le regioni che hanno abdicato a curare i cittadini con il sistema pubblico. Il Veneto ha meno Sanità privata d’Italia, il 10-11%, perché da noi è normale andare a curarsi in un ospedale pubblico. Sa perché? Perché abbiamo chiuso 49 ospedali, è un processo di efficienza, e se non sei clientelare e non guardi al consenso, fai queste cose».

F.: «Ritengo che questi non siano motivi sufficienti a smontare la nostra richiesta di fermare la legge».

Z.: «Lo spiegherà alla Corte Costituzionale».

F.: «Non credo che sosterrò la posizione davanti alla Corte per coerenza, perché ho massimo rispetto per un organo del quale ho fatto parte per 9 anni. Io ritengo che i referendum siano ammissibili, altrimenti non avrei accettato questo incarico, ma non intendo entrare oltre nel merito di questo aspetto».

Z.: «C’è un puntodecisivo: siamo d’accordo che l’obiettivo è rendere più efficiente questo Paese?».

F.: «Certo, ma la via non può essere quella di allargare la competenza legislativa a tutto quello che chiedono le regioni».

Z.: «Guardi, io la vedo un po’ da capomastro. Con l’Autonomia diminuisci le catene decisionali in questo Paese, hai quantomeno un interlocutore certo».

Oltre che per l’Autonomia, anche per il referendum si dice che rischia di spaccare l’Italia. Che cosa risponde, professore?

F.: “E’ una questione di punti di vista. L’Italia si spacca chiedendo un referendum che cerca di evitare un decentramento legislativo accentuato o piuttosto facendolo in questo modo? La questione è se il decentramento può passare dall’abdicazione dello Stato da tutta una serie di materie e di competenze che ad avviso della Costituzione devono rimanere allo Stato».

Presidente Zaia, lei come giudica il rischio spaccatura del Paese?

Z.: “Sono stato il primo a dire che l’Italia post referendum non sarebbe più quella di prima. Se passasse, i 2.328.000 veneti che votarono per l’Autonomia con qualcuno si arrabbierebbero, si sentirebbero defraudati di un diritto. Quindi è vero che Italia uscirebbe spaccata. Vede, l’Italia oggi è a due velocità. Io penso che noi non siamo riusciti a certificare una narrazione, perché se parli con i cittadini contrari all’autonomia ti senti dire che arriva il Nord a rubare i soldi. Ma non c’è nessun trasferimento di risorse. Penso che la comunicazione dei referendari così come la nostra debbano essere responsabili, perché non possiamo mettere italiani contro italiani, deve essere una no fly zone. E’ come se noi facessimo una campagna contro il Sud, non ha alcun senso».

F.: «Sono d’accordo. E sono convinto che purtroppo si sia persa nel Paese la capacità di dialogo e di rispetto reciproco».

Z.: «Lo penso anche io».

Presidente Zaia, ci fa un esempio concreto di che cosa con l’Autonomia potrebbe fare il Veneto su una materia non Lep come il commercio estero e una Lep come l’istruzione?

Z.: «E’ presto perché non abbiamo ancora aperto il tavolo di trattativa con il governo, quindi ragiono in linea generale. Certo con il commercio estero è falso dire che si creeranno 20 ambasciate. E’ invece innegabile che rispetto a progetti nazionali omogenei, una regione potrà promuovere le proprie produzioni in maniera più dettagliata. Quanto alla scuola, ricordo che l’autonomia scolastica esiste già, una parte dei programmi è taylor made per ogni regione. Anche qui, nessuno vuole 20 ministeri, ma ci sono problemi diversi. La sfida nazionale per la scuola è la dispersione, però se tu la proponi a Milano, Bologna, Torino, ti dicono che la loro emergenza è la digitalizzazione, la terza lingua straniera. In Veneto abbiamo il problema della formazione professionale, ci servono tecnici. Ecco, potremmo intervenire su questi fronti».

Siete d’accordo che comunque con questa legge sarà un’Italia diversa?

F.: «Cambia l’assetto costituzionale. Con il premierato, si assiste alla conseguente svalutazione del Presidente della Repubblica; poi c’è un Parlamento delegittimato dalla riduzione dei componenti. Quindi c’è un rafforzamento del governo cui corrisponde la divisione in un arcipelago del territorio nazionale. Ciò mi preoccupa e cambia la fisionomia del Paese».

Z. «Questa vicenda, comunque si concluderà, ha comunque un effetto positivo. Aver alimentato un dibattito in un’Italia che era narcotizzata e darà una sferzata perché il Paese provi a essere più efficiente».