Fabrizio Sandretto suona il piano “al buio”: «La mia forza sono volontà, orecchio e memoria»
PONT CANAVESE
Un artista unico che ha radici in Canavese: Fabrizio Sandretto, 43 anni, il “pianista del buio”, è l’unico concertista non vedente d’Italia e il suo successo si conferma ad ogni esibizione. L’ultima in Canavese risale al 31 agosto, nella pieve di Santa Maria in Doblazio a Pont Canavese.
Lei vive a Torino, ma ha un legame familiare con il Canavese: qual è stata la sua formazione e che rapporto ha con il nostro territorio?
«Sono nato a Torino, dove vivo e ho fatto parte dei miei studi. Ho dato gli esami al Conservatorio di Torino come privatista fino all’ottavo anno, avendo frequentato il liceo linguistico. Al Conservatorio, infatti, si possono fare solo studi classici. L’esame del decimo anno, quello del vecchio ordinamento, l’ho conseguito al Conservatorio Ghedini di Cuneo, dove ho proseguito il corso universitario fino ad ottenere la laurea ed il dottorato in Musicologi, specialità solistica di pianoforte. Qui ho avuto la fortuna di essere allievo del maestro Francesco Cipolletta, insegnante e concertista internazionale. In Canavese, a Pont in particolare, venivo spesso da bambino. Mio padre Ernesto è nato e vissuto a Pont sino ai 10 anni. Ho passato anche varie estati ad Alpette, perché lì c’è la casa di mio nonno paterno».
In quale momento della sua vita ha incontrato la musica e quando ha capito l'importanza che avrebbe avuto per Lei?
«Già fin dalle prime percezioni la musica per me è stata un “fenomeno” eccezionale. Penso molto più di quanto lo possa essere per un vedente. Non vedendo dalla nascita, la musica ha riempito molti spazi della mia vita in ogni momento. Ho sempre pensato di potermi dedicare appieno alla musica. La fortuna è stata quella di avere una famiglia che me l’ha permesso e mi ha agevolato in tutto a tal fine».
Quanto tempo dedica alla musica nella sua giornata?
«Circa 8 ore in tutto, a partire dalle 9 sino alle 19.30, con alcune pause intermedie».
Lei, oltre che pianista del buio, come viene definito, è anche un noto concertista. Qual è il concerto che l'ha emozionata di più e quando tornerà ad esibirsi in Canavese dopo l'evento dello scorso 31 agosto a Pont Canavese?
«“Il pianista del buio” mi è stato dato come soprannome dalla giornalista Franca Giusti. Ho sempre e solo voluto essere un concertista e ad oggi ne ho tenuti circa 200. Penso che se vuoi veramente essere un ottimo pianista devi dedicarti solo ai concerti, perché sei costantemente costretto a tenere una preparazione altissima. Poi ti rendi conto che non ti piaci mai, vuoi sempre migliorare qualcosa in più, sei sempre alla ricerca della perfezione. In questo sono tutt’oggi seguito dal mio maestro di sempre, Andrea Gherzi, eccellente pianista, scrittore e musicofilo che ringrazio profondamente. I concerti che ricordo con particolare piacere sono quello di Villa Caprera, a Castello di Godego, in provincia di Treviso, davanti al presidente del Veneto Zaia, di Rosà, ancora in Veneto, dove sono stato testimonial italiano della giornata della disabilità, di Venezia al Conservatorio Benedetto Marcello e, senz’altro, quello tenuto a Santa Maria a Pont, un luogo unico. Al momento non so quando ritornerò a suonare in Canavese. Mi piacerebbe relazionarmi, e spero che accada presto, con le realtà del territorio per pensare a una collaborazione che porti alla realizzazione di eventi musicali di alto livello e confrontarmi con qualcuno del Canavese, ma purtroppo ad oggi, non ho mai sentito nessuno. Ci sono realtà, come teatro Pinelli di Cuorgnè, il Liceo musicale di Rivarolo, dalle grandi potenzialità. Anche i grandi ristoranti storici del Canavese nelle grandi occasioni potrebbero inserire mezz’ora di musica come accade in Germania, Olanda e Danimarca».
In che modo, a suo vedere, l'essere non vedente ha influenzato il suo modo di fare musica? Ci parla anche del suo concerto “Musica in braille”?
«Posso citare una frase che mi fu detta al Conservatorio: “Senti ragazzo, tu sei cieco e vuoi fare il musicista. O sei in grado di suonare perfettamente come un vedente o fai altro. Non puoi sbagliare e dire al pubblico “Scusate, non ci vedo””. Sarà una frase cruda, ma molto giusta e vera, non ci si può appoggiare all’handicap come a una stampella. Il metodo di studio della musica in Braille è decisamente più complesso di quello normale. Cito un particolare essenziale della mia preparazione: metto il testo sul leggio, con la mano sinistra leggo le note che suono con la destra e viceversa, dopodiché le unisco e comincio a suonarle dopo avere memorizzato perfettamente tutto tra note e varie annotazioni. Ovviamente ci va molta memoria: quanto dura una nota? Quante ce ne sono in un concerto di un’ora e un quarto come quello di Santa Maria a Pont?».
La musica è una delle sue grandi passioni, ma c’è anche molto altro. Ci sono la scrittura, le lingue straniere e la traduzione e l'interesse per il Giappone. Ci racconta anche il suo impegno come scrittore e traduttore, esperienze accomunate dall'interesse per la fonetica?
«L’interesse per gli idiomi stranieri è dato dalla loro differenza di fonetica. Non vedendo, l’orecchio è più attento, quindi basta poco per trovare differenze, interessi e curiosità nei vari lessici. Ho dato la maturità linguistica in inglese, francese e tedesco e ho fatto anche tre anni di russo. Poi ho proseguito lo studio dell’inglese al Cambridge e del tedesco al Goethe. In seguito ho iniziato a studiare il giapponese con la docente Sawa Nakamura, fondatrice della cattedra di lingue orientali all’Università di Torino, e ho conseguito il proficiency 3° livello. Sono l’unico cieco del mondo occidentale che l’abbia raggiunto. Poi ho iniziato a tradurre. Ad oggi ho tradotti tre libri di antiche fiabe dal giapponese ed uno dal tedesco».
Quale ritiene che sia il suo punto di forza e quale una sua debolezza e cosa ama di più della sua esperienza da concertista?
«I miei punti di forza sono la volontà, la memoria e l’orecchio. Una scarsa volontà non permetterebbe un simile impegno protratto nel tempo. Senza una memoria superiore non avrei mai potuto memorizzare tutte quelle note e nel giapponese non avrei potuto imparare i loro 2500 kanji (caratteri di origine cinese utilizzati nella scrittura della lingua giapponese). Il vedente li legge e li scrive, io devo impararli in Braille e saperli scrive perfettamente all’occasione. L’orecchio, a sua volta, mi ha permesso di suonare a livello di concertista. Il mio punto debole, invece, è sicuramente l’emotività. Oggi meno, ma all’inizio “sentivo” troppo il pubblico e questo abbassava il mio rendimento. Oggi, grazie all’esperienza, so estraniarmi molto di più. Cosa amo di più nel mio concertismo, inoltre, è riuscire a dare al pubblico la musica che avrebbe voluto dare il compositore. In altri termini, suonare Bach alla Bach, Chopin alla Chopin e via dicendo».
Quali sono i suoi prossimi impegni e dove sarà possibile venire ad ascoltarla?
«Ho diversi concerti in programma: il 20 ottobre in via Nizza a Torino alla chiesa di San Salvario; l’11 novembre al Circolo dei Lettori per la Fondazione Faro; il 17 novembre al Palazzo Mistrot a Villarbasse e il 3 dicembre a Torino nella chiesa di Santa Pelagia per la fondazione Omi; a fine dicembre terrò, invece, un Concerto di Natale a Milano. Da adesso fino a fine anno mi cimenterò con 11 eventi».