Trieste, bambina di 13 anni picchiata e legata dal padre
Picchiata con cinture e bastoni. E minacciata di morte. La vittima è una ragazzina, oggi sedicenne, che all’epoca dei fatti non aveva ancora compiuto quattordici anni. Il padre, sessantenne straniero residente a Trieste, è a processo per maltrattamenti.
L’uomo è comparso in tribunale accompagnato dagli agenti di Polizia penitenziaria. Risulta detenuto al Coroneo, ma non per le violenze sulla figlia – per cui è a processo – bensì per le intimidazioni ai danni dell’ex moglie. Un procedimento che aveva comportato un’ordinanza emessa dal gip di divieto di avvicinarsi e di comunicare sia con la donna che con la minorenne, ma che il sessantenne aveva violato la scorsa primavera, facendo scattare l’arresto e la detenzione domiciliare, da cui è evaso diverse volte.
Gli accertamenti sul conto dell’uomo (pm Matteo Tripani) sono partiti dopo la denuncia dell’ex moglie: è così che è emersa una quotidianità fatta di violenze. La ragazzina veniva pestata quasi ogni giorno anche con «cinture, bastoni, fili di metallo», è precisato nella documentazione giudiziaria. Il padre la afferrava «per i capelli e gola» urlandole insulti.
I maltrattamenti, stando alle informative delle polizia giudiziaria, si sarebbero protratti per molto tempo. In una testimonianza resa da una parente pochi giorni fa in udienza, è emerso anche che la ragazzina era stata legata.
Il sessantenne è accusato anche di minacce e molestie nei confronti dell’ex moglie a cui aveva inviato, fino ad aprile, svariati messaggi dal contenuto farneticante. E lo faceva nonostante l’ordinanza del gip che imponeva il divieto di comunicare con lei.
In quello stesso periodo l’uomo aveva ripreso a intimidire la figlia dicendole che l’avrebbe «ammazzata».
Il sessantenne, prima di essere arrestato, il 15 aprile era riuscito ad avvicinarsi alla minore (l’ordinanza glielo impediva) e a colpirla. «La mia assistita ha dato prova di coraggio a denunciare i maltrattamenti che stava subendo la figlia – afferma l’avvocato Giovanna de’ Manzano – il contesto culturale in cui avvengono certe fattispecie rende difficile per le vittime portare alla luce quei fatti che spesso vengono vissuti come “normali”. Con la denuncia si è attivata una rete di protezione degna di plauso. Ciò sia un esempio per altre vittime».