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Сентябрь
2024

Se la famiglia non torna modello sociale, le aule scolastiche saranno sempre più vuote

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La famiglia come modello sociale. Sono giorni, questi delle prime due decadi di settembre, in cui gli studenti italiani tornano a popolare i banchi di scuola. Ogni anno che passa, tuttavia, nelle aule si registra una diminuzione del numero di alunni. La causa è da ricercare nella crisi demografica che ormai da tempo ci attanaglia. Soltanto quest’anno (ministro Valditara dixit) gli studenti saranno 110mila in meno. Non serve essere demografi esperti per prevedere che, di questo passo, nel prossimo futuro assisteremo a una vera e propria emorragia studentesca.

Le politiche del governo Meloni

Le aule vuote sono uno dei simboli più tristemente evocativi, insieme alle culle vuote, della crisi demografica. E suggeriscono riflessioni ulteriori sul già dibattuto tema. La prima riflessione è che l’intervento normativo è sì necessario. In questo senso è da accogliere con favore l’investimento ingente del governo Meloni per incoraggiare economicamente le famiglie. Le misure, ad esempio, che hanno confermato e rafforzato l’assegno unico, detassato le madri lavoratrici, tagliato il cuneo fiscale per i redditi medio-bassi sono un impulso importante e concreto certificato dall’Ufficio parlamentare di bilancio. E gli interventi che arriveranno ancora in futuro non faranno che aumentare il clima di fiducia attorno al portafogli di genitori e figli.

Famiglia come modello cui aspirare

Molto bene, dunque, che ci sia finalmente un Governo che pone la famiglia al centro della propria agenda normativa. L’importanza della questione demografica, tuttavia, non può esimerci dallo sviluppare un’analisi più profonda. E qui siamo alla seconda riflessione. È sì vero che servono incentivi economici. Ma è altrettanto vero che per avvicinare l’ambizioso obiettivo di riempire di nuovo le culle serva anche altro. Serve, in buona sostanza, di affiancare alle politiche familiari l’apporto della cultura di massa, affinché la famiglia sia mostrata come un modello cui aspirare.

La battaglia culturale

Ci sono degli elementi, d’altronde, che dimostrano come la crisi demografica abbia (anche) una causa culturale. Anzitutto il fatto che la denatalità non risparmia Paesi che destinano da tempo robusti fondi alle famiglie. E poi un dato induttivo: coloro che chiedono politiche di sostegno alle famiglie e alla natalità sono principalmente persone che una famiglia con figli ce l’hanno. Dunque si tratta di cittadini che forniscono già un contributo demografico al Paese, nonostante la penuria di sussidi dei decenni scorsi. Significa che le loro richieste, più che dettate da esigenze economiche (fermo restando che l’aiuto dello Stato è molto utile alle casse delle famiglie), derivano da una visione politica di difesa di un paradigma sociale fondato sulla centralità dell’istituto familiare. Pertanto, se la maggioranza condividesse questa visione, il problema demografico sarebbe in parte risolto. Spira invece un vento culturale che influenza le giovani generazioni disincentivando la stabilità affettiva e la responsabilità genitoriale. È anche su questo, allora, che occorre lavorare. “Per restituire agli italiani – come ha detto il presidente Meloni agli Stati generali della natalità del 2023 – una Nazione nella quale essere padri non sia fuori moda ed essere madri non sia una scelta privata, ma un valore socialmente riconosciuto”.

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