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Сентябрь
2024

Monfalconese licenziata dal capo: «Rifiutai le sue avances»

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«È stato il periodo più difficile e complicato, lavorativo e personale, che abbia mai vissuto». È l’incipit del lungo esame che ha affrontato, l’altro giorno in aula, la giovane donna monfalconese, parte civile nel processo per l’ipotesi di accusa di stalking aggravato nei confronti di M.O., che aveva assunto l’area manager del Triveneto del Gruppo Cisalfa.

La vicenda è collocata nel periodo da ottobre 2021 fino a gennaio 2023, quando alla donna, store manager del punto vendita all’interno del centro commerciale Belforte, era stato comunicato il licenziamento. Davanti al giudice monocratico Francesca De Mitri, l’udienza è stata dedicata al solo esame della parte civile, rappresentata dall’avvocato Elisa Moratti.

L’imputato è difeso dall’avvocato Marco Salvatore Brignone. L’arrivo del nuovo capo area, al quale compete la supervisione dei punti vendita di competenza, ha rappresentato - ha riferito la donna - l’inizio delle sue difficoltà. «Fin da subito ho ricevuto pressioni e richieste di natura sessuale», ha dichiarato la teste rispondendo al pm. Una situazione che s’è affacciata già al primo pranzo, durante la pausa di lavoro, avvenuto all’interno del centro commerciale.

Con una domanda: “Ma io e te andremo mai a letto insieme?”: «Sono rimasta sbalordita», ha detto la donna. Ne sono seguiti altri, di pranzi, rispetto ai quali lei aveva espressamente chiarito di restare comunque all’interno del Belforte, considerata la richiesta di andare altrove. Domande imbarazzanti, calate nella sfera prettamente personale: se fosse fidanzata, sposata, con l’uomo a suggerirgli che “era tempo di avere dei figli”.

Le domande a lasciare il posto a parole assertive: “Io e te andremo a letto insieme”. Lei a ripetere: “Assolutamente no”. È pure capitato che si sentisse dire: “Non si dice no, si ubbidisce e basta”. La teste ha ricordato altre circostanze. Quando era stata accompagnata nell’ufficio interno al negozio, mentre stava lavorando. Chiusa la porta, erano partiti gli insulti e considerazioni del tipo “non vali nulla, non sai lavorare”.

Le era stata negata la richiesta di tornare alle sue incombenze, trovandosi addossata al muro per ampliare le distanze. L’arrivo di un collega, che aveva bussato alla porta, le aveva fornito l’occasione per sgattaiolare fuori. Sempre in ufficio era stata chiamata, questa volta per parlare del suo look, della camicetta che indossava. “Sei già provocante di tuo, se ti metti così... ”, le era stato sostanzialmente detto. Tra un evento e l’altro scorrono periodi diventati avidi momenti di tranquillità.

Il racconto in aula prosegue, la voce ondivaga, l’invitarla almeno un paio di volte ad alzare il tono e ad avvicinarsi al microfono. S’era sentita raggelare quando, nel servire una cliente che stava provando un capo, lui le si era avvicinato appoggiandole la mano sulla spalla nel sussurrarle una richiesta sessuale in termini ben più spinti.

La cliente a pochi passi, all’interno del camerino. Tutto fino a una contestazione verbale mossale dal capo area unitamente al suo superiore gerarchico, in ordine ad aspetti relativi alle vendite promozionali agostane. Era inizio ottobre 2022, un mese dopo la comunicazione di apertura di un procedimento a suo carico, con la prospettiva, assieme al declassamento, di tre spostamenti alternativi. A fine gennaio 2023 era giunta la lettera di licenziamento. Dall’esame esperito dall’avvocato Moratti, sono emersi altri aspetti. L’insinuarsi di pensieri suicidari, “ausili” per poter dormire la notte, attacchi di panico.

La perdita di peso, tra gli otto e i nove chili. E il ricorso allo psicologo, su sollecito della madre, la famiglia tanto vicina quanto in apprensione. Le prime sedute erano state interrotte una volta rimasta senza lavoro.

L’avvocato Brignone ha voluto contestualizzare l’ambiente lavorativo del negozio e conoscere eventuali prassi aziendali. Ha chiesto se la donna avesse esplicitato la sua posizione in merito ad approcci relazionali intimi («ho più volte negato le sue richieste, dicendogli di lasciarmi in pace»).

Ha voluto capire quale fosse il suo “livello di prudenza”, ma in questo caso il giudice non ha ammesso la domanda per riformularla: se avesse mai dato adito all’uomo di poter pensare che fosse disposta ad intraprendere una relazione. «No, nel modo più assoluto», ha risposto la teste.—

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