“Repubblica” diventa gialla per fare pubblicità a un profumo Dior: l’ira dei giornalisti contro Elkann
Chissà se il 14 gennaio del 1976, nella nottata in cui il primo numero del giornale rischiava di non uscire in edicola per l’ovvia confusione che regnava nella redazione di via Po, a Roma, Eugenio Scalfari avrebbe mai immaginato che il nome della testata scelta – “La Repubblica”, in omaggio al piccolo giornale portoghese che nel 1974 aveva dato voce alla “rivoluzione dei garofani” – sarebbe stata “ingiallita”, e quindi oltraggiata, 48 anni dopo, dalla pubblicità della più importante casa di moda del mondo, Dior.
In prima pagina quel giorno del 1976 c’era l’incarico ad Aldo Moro. Dopo tanti anni, da Aldo Mor a Christian Dior, il passo è breve…
La rivoluzione di Repubblica, gialla e profumata
Il 12 settembre del 2024, la rivoluzione cromatica s’è fatta, sul sito, in nome del Dio denaro, nel segno della proprietà, gli Elkann, che negli ultimi mesi si stanno segnalando per analoghe iniziative “industriali” di cinico opportunismo delle quali sono gli operai a pagare prezzo. Stavolta, però, si sono arrabbiati i giornalisti. Quando ieri hanno visto che il sito, tra i più letti d’Italia, portava la scritta della testata in giallo, una volta esclusi virus informatici o batteriologici, tipo quello dell’epatite, scalate cinesi consumatesi in nottata in stile Tiktok, epidemia di discromatopsia in redazione, svolte editoriali nel segno della cronaca vera o improvvisi endorsement grillini, si sono chiesti se fosse davvero possibile che il marchio della loro storica e gloriosa testata fosse stato adatttato all’esigenza di un profumo Dior da pubblicizzare utilizzando quel marchio targato Scalfari. E si sono risposti di no, così no da indurli a metter giù un duro comunicato del Cdr. E, in contemporanea con la protesta, all’improvviso, come una zaffata di profumo, il colore giallo è svanito…
La durissima nota del Cdr: “La proprietà non ama il giornale”
L’incipit è morbido, la conclusione amarissima. “Ieri, la testata di Repubblica online ha perso il suo abituale colore per far spazio a un giallo ‘griffato’, iniziativa collegata alla pubblicità di un marchio di moda. Non sfuggirà il valore simbolico: una testata giornalistica, che si definisce indipendente, pronta ad ‘affittare’ il proprio nome su richiesta di un inserzionista (o su proposta della concessionaria della pubblicità). Scelte di questo tipo, che possono pure avere un senso economico nell’immediatezza, rappresentano invece una pesante ipoteca sulla reputazione del giornale”, attacca il Cdr. Che prosegue puntando la proprietà: “Ma occorre voler bene a Repubblica per capirlo. La gestione degli ultimi anni del gruppo Gedi, o per meglio dire ciò che ne rimane, conferma invece quel che ribadiamo da tempo: questo management non ha nessuna passione editoriale né rispetto per la missione che ci siamo dati, cioè il giornalismo. Vorremmo dire che non siamo in vendita e che non tutto può essere vincolato a interessi altri rispetto al giornalismo. Ma questa purtroppo rimane una enunciazione di principio, visto che ogni nostra sollecitazione e protesta è finora caduta nel vuoto. Per fortuna ci resta la libertà di parola e in questo caso di denuncia: tutto ciò non sta avvenendo in nostro nome”.
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