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Сентябрь
2024

L'altra verità su Cutro

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L’accusa è netta e proviene dalla procura, dai giornali, dall’opinione pubblica: quei 94 morti nel naufragio del 26 febbraio 2023 sono colpa dei militari. Ma a leggere bene le carte, le cose sono andate diversamente: la colpa è degli scafisti che si sono incagliati per eludere i controlli.

Se fossero affondati a 15 miglia dalla costa calabra sarebbe stato un naufragio, ma sono arrivati a meno di 200 metri. Si tratta di un sinistro causato dagli scafisti che volevano eludere i controlli» è il giudizio netto di chi, in prima linea sul mare, conosce bene il caso. Di fronte alla spiaggia di Steccato di Cutro, poco dopo le 4 del mattino del 26 febbraio 2023, una barca salpata dalla Turchia con circa 180 migranti soprattutto afghani, pakistani e iraniani si è arenata su una secca, 1,9 metri d’acqua, per la manovra azzardata degli scafisti. Almeno 94 persone, trasportate e trattate come bestie, sono annegate compresi 35 bambini. «I veri responsabili sono i trafficanti di uomini e gli scafisti» sottolinea la fonte di Panorama, «ma per ragioni politiche si è creata una bolla mediatica che sfocia sul piano giudiziario arrivando a un processo. E alla gogna finiscono sei servitori dello Stato, che hanno fatto esattamente quello che prevedono i regolamenti».

Il 19 luglio scorso gli ufficiali e sottufficiali indagati (quattro della Guardia di finanza e due della Guardia costiera) hanno ricevuto l’atto di conclusione dell’inchiesta, preludio al rinvio a giudizio, con l’accusa di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo. Il titolare dell’inchiesta è Pasquale Festa, sostituto procuratore di Crotone. Ma c’è un’altra verità su Cutro, quella degli imputati, tra falsificazioni che non esistono, tracciati radar e allarmi confermati, errori di Frontex - l’agenzia europea per le frontiere esterne - e pressioni politico-mediatiche. I migranti saliti a bordo del Summer Love hanno pagato una media di ottomila dollari a testa per la traversata, a loro rischio e pericolo. Per i trafficanti di uomini, ancora tranquillamente annidati in Turchia e veri colpevoli della strage, un incasso di oltre un milione di euro, ma i riflettori si accendono sugli uomini in divisa che nella notte fra il 25 e 26 febbraio erano di turno.

Il primo inghippo di questa tragica vicenda è l’avvistamento di Frontex della barca in navigazione, alle 22 e 26 del 25 febbraio, in acque internazionali a 38 miglia dall’Italia. L’aereo Eagle 1 fotografa il Summer Love, che ha una buona galleggiabilità. Il mare non sembra mosso. Le immagini fornite dal velivolo con l’ausilio della camera termica individuano uno scafista sul ponte. Un segnale simile da un boccaporto fa ipotizzare, come scritto nel rapporto, a «possibili persone in più sotto coperta». Eagle 1 segnala anche una telefonata via satellitare con la Turchia. Nessuno chiede soccorso e non c’è una situazione di pericolo.

«Il primo impatto visivo di Frontex non consente di qualificare l’evento come Sar (ricerca e soccorso, ndr) con certezza di migranti a bordo. Per questo motivo viene catalogata come operazione di “Law enforcement” attribuendola alle forze di polizia. La stessa accusa non lo mette in dubbio» spiega Francesco Vetere, uno degli avvocati del tenente colonnello della Guardia di finanza, Alberto Lippolis che rischia il processo. Frontex, però, fornisce informazioni sulla rotta e navigazione del Summer Love che «sono state molto approssimative se non fuorvianti» secondo lo stesso perito nominato dalla Procura, l’ammiraglio in congedo Salvatore Carannante. Il consulente certifica che secondo Frontex la barca «sarebbe dovuta giungere (…) ben più a sud-ovest di Steccato di Cutro» dove è avvenuto il naufragio e per di più alle 7 del mattino. Dati che confondono le autorità italiane. Il rapporto viene ricevuto, a cascata, dal Viminale al Centro di soccorso della Guardia costiera a Roma (Imrcc) fino alla Guardia di finanza nell’area calabra. «Non c’è stata alcuna sottovalutazione, nessun ritardo e nessuna intenzione oppure ordine di abbandonare le personein mare» sostiene l’avvocato Liborio Cataliotti, che difende Lippolis. Nell’avviso di conclusione delle indagini l’accusa dedica al comandante del Reparto operativo navale (Roan) di Vibo Valentia appena dieci righe imputandogli di non avere chiesto «il supporto della Capitaneria di porto in ragione del ritardo accumulato (e) dell’assenza di un effettivo monitoraggio del “target” (il barcone, ndr)».

Per gli altri tre ufficiali e sottufficiali della Guardia di finanza tutto si gioca sull’accusa di ritardi, sottovalutazioni e omissioni. «La tragedia è stata politicizzata e strumentalizzata. Non esiste una norma di nessun livello che modifichi la disciplina pluridecennale che classifica i due eventi Sar e Law enforcement. Non esiste alcun automatismo che sovrappone le due categorie passando da una all’altra» ribadisce l’avvocato Cataliotti. Le Fiamme gialle hanno a disposizione la motovedetta V 5006 e il pattugliatore PV6 - Barbarisi, ma le procedure per un’operazione di polizia e non di ricerca e soccorso sono ben diverse. Per di più il mare si ingrossa e secondo l’accusa, il finanziere Giuseppe Grillo, quella notte in servizio, «ometteva di comunicare le difficoltà di navigazione riscontrate in precedenza dagli assetti da impiegare nell’operazione limitandosi a riferire (…) la presenza di una unità della Guardia di finanza in servizio di pattugliamento che avrebbe atteso il target “mare permettendo”».

Fin dall’inizio delle indagini vengono lanciate accuse, fatte trapelare sulla stampa, poi evaporate come bolle di sapone. La motovedetta della Guardia di finanza non era ferma nel porto di Crotone, ma rientrata solo per fare carburante e pronta a tornare in mare a cercare il Summer Love. I finanzieri sono accusati di aver falsificato il «giornale di Chiesuola», il documento che riporta tutte le operazioni in mare. Nulla di vero. La chat dei finanzieri, poco dopo la chiusura delle indagini, finisce sui giornali per mettere gli imputati in cattiva luce. «So’ migranti» scrive il comandante Lippolis, ma non c’era alcuna certezza. Un maggiore non indagato gli risponde «in realtà non si è visto nessuno, ma è una barca tipica». Gli ufficiali discutevano via chat con il beneficio del dubbio. Altra falsità iniziale, ben propagandata, riguarda la dichiarazione di un operatore: «(…) dal radar al momento non battiamo nulla». La traccia del radar di Campolongo tarato sulle 12 miglia, limite delle acque territoriali, non solo era in funzione, ma alla fine è riuscito ad individuare il Summer Love, a quattro miglia dalla costa. E l’allarme è scattato subito alle 3e 50, anche se troppo tardi per i soccorsi. Il naufragio è avvenuto alle 4 e 15. La ricostruzione dell’accusa fa confusione sugli orari, ma quelli reali dimostrano che non si è perso tempo.

Il coinvolgimento nell’inchiesta di Francesca Perfido, ufficiale di ispezione al Centro di soccorso della Guardia costiera a Roma, e di Nicola Nania con lo stesso compito a Reggio Calabria, è un’altra anomalia. «Sembra quasi che gli inquirenti abbiano voluto dare un colpo al cerchio e uno alla botte» spiega una fonte di Panorama. «Un disastro, di riflesso, su tutto il personale in servizio, che sarà terrorizzato di fare il proprio dovere con il rischio di incappare in guai giudiziari». Cataliotti racconta lo stato d’animo di Lippolis: «Il suo primo pensiero va sempre alle vittime e ai loro familiari. E ripete: “Ne ho salvati tanti, sono a posto con la coscienza, ma questa volta non ce l’ho fatta”». Un imputato racconta che «mi hanno augurato di non dormire la notte. È vero, non dormo perché ho sempre davanti agli occhi le immagini delle bare dei bambini di Cutro. Ma non ho alcuna colpa». Lo stigma sugli uomini in divisa è forte. Sembra quasi che i criminali siano loro e non gli scafisti, che fanno meno notizia. Uno è annegato, tre rimangono in attesa di giudizio e due, il siriano Mohamed Abdessalem e il turco Ufuk Gun, sono stati condannati a 20 anni di carcere. Il sito pro migranti openmigration.org, descrive la condanna come «una delle tante, contro “i capitani” su cui le politiche di criminalizzazione dei governi si ripetono, così da nascondere le responsabilità che fanno della chiusura delle frontiere il loro unico obiettivo».

La stessa ricostruzione della Procura conferma che «l’imbarcazione (…) si è diretta verso (…) Steccato di Cutro per cercare di effettuare uno spiaggiamento (…) e successivo sbarco dei migranti». Manovra definita «pericolosa» e per di più lo scafista «ha notato delle luci a terra» di alcuni pescatori, ma temeva fossero le forze dell’ordine. Per questo «ha improvvisamente invertito la rotta dirigendosi al largo» si legge negli atti «(…) L’imbarcazione si è (…) incagliata in un punto di basso fondale» condannando a morte 94 persone. Il pubblico ministero Festa sostiene che i colpevoli sono i sei delle Fiamme gialle e della Guardia costiera: «Avendo tutti e indistintamente il prioritario, fondamentale e ineludibile obbligo di salvaguardare la vita in mare, anche rispetto a condotte imprudenti, negligenti e imperite degli scafisti».