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Inchiesta corruzione a Venezia, sei ore di interrogatorio a Lotti: «Nessun interesse reale per l’area dei Pili»

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Sono giorni intensi di interrogatori degli indagati, nell’ambito delle indagine “Palude”. E l’11 settembre la Procura ha puntato i riflettori sui piani (pur poi abortiti) per trasformare l’area dei Pili da 41 inquinati ettari sulla laguna in un waterfront di lusso, con alberghi, residence e palazzetto dello sport.

Area di proprietà di Porta di Venezia, società nel 2016 ancora nel pieno possesso del sindaco Luigi Brugnaro - prima della formazione del blind trust - quando ne illustrava le molte potenzialità, insieme a quelle dell’ex-ospedale al mare e area Umberto I al magnate di Singapore Chiat Kwong Ching.

Di questo si è parlato nelle sei ore di ininterrotto interrogatorio che ha visto rispondere alle domande dei pm Baccaglini e Terzo, Luis Lotti, l’uomo in Italia del magnate dell’immobiliare Ching, legale rappresentante di Grendeur Oxley e incaricato dal finanziere di intrattenere i rapporti con “l’Autorità di Venezia proprietaria dei terreni”, come si legge nel capo di imputazione per concorso in corruzione.

La Procura ricostruisce così la sua accusa di concorso in corruzione: il magnate, Lotti e Claudio Vanin (che con il suo esposto ha fatto partire l’indagine Palude) si sarebbero impegnati ad acquistare i Pili per 85 milioni in cambio della promessa del sindaco, del capo di gabinetto Morris Cerron e del vice Derek Donadini di far approvare dal Comune un progetto commercial-residenziale con tutte le varianti urbanistiche. Milioni che sarebbero saliti a 150 con il raddoppio della cubatura.

Il magnate ha già replicato via comunicato: lui non compera mai terreni, cerca joint venture con altri privati e per questo il piano Pili, a dicembre 2017 era già un affare abortito, come comunicato a cena a casa del sindaco, nel secondo cordiale incontro dopo quello istituzionale a Ca’ Farsetti di mesi prima, sulle varie possibilità di investimento a Venezia, Pili compresi.

Ma, allora, perché Luis Lotti ha continuato ad incontrare (con Vanin) Ceron e Donadini anche negli anni seguenti, occupandosi non solo dell’acquisizione dei palazzo Donà e Papadoli, ma anche dei Pili?

«Quello di oggi con i Pm è stato un incontro concordato: c’era da parte nostra il desiderio di chiarire e da parte loro di avere un chiarimento», dicono al termine dell’interrogatorio gli avvocati Zancani e De Luca, «il dottor Lotti ha voluto chiarire la realtà dei fatti. La nostra posizione è che la realtà prospettata dalla Procura non è aderente a quello che è successo. Il compito del signor Lotti era ascoltare quello che accadeva sul mercato e per quello lui ha sempre monitorato anche il fronte dei Pili: semplicemente questo, non ci sono stati incontri operativi. Finché c’è stata l’attività di Claudio Vanin (imprenditore edile, che con i suoi esposti ha dato il via alle indagini, ndr) lui aveva ipotizzato progetti in proprio. Poi si è trattato per Lotti solo di seguire gli aggiornamenti, senza nessuna prospettiva, e di presentarsi ai rappresentanti del blind trust, nel frattempo costituito. Il fatto che si siano incontrati qualche volta non vuol dire che ci siano state trattative: Lotti ha continuato ad avere rapporti istituzionali di rappresentanza come per altri investimenti del signor Ching ha avuto in città: se c’erano opportunità si andavano cogliere, ma non i Pili».

Per la difesa, dunque, i Pili sarebbero stati più che altro un progetto di Vanin: «Si era proposto addirittura come partner, diceva di metterci 50 milioni e nella sua ottica - che non è la nostra - si è assunto il suo rischio imprenditoriale di coinvolgere professionisti come l’architetto Tobia Scarpa, non noi», chiosa Lotti.

Nel lungo interrogatorio non si è invece parlato della tangente da 73 mila euro che per la Procura sarebbe stata pagata all’ex assessore al patrimonio Renato Boraso, nell’ambito dell’acquisto di palazzo Donà e palazzo Papadopoli da parte di Mister Ching, per abbassare la base d’asta di quest’ultimo: «Dei palazzi non abbiamo parlato, ne parleremo in un altro incontro. Ma nessuno né Lotti né Mr. Ching ha mai dato istruzioni di pagare alcunché. E poi Ching è stato l’unico a partecipare all’asta», dicono a una voce gli avvocati difensori Zancani e De Luca.

«Non ci sono evidenze di alcun tipo, né comunicazioni, registrazioni, non c’è niente al riguardo», le uniche parole che pronuncia lo stesso Luis Lotti, che dice di aver conosciuto Boraso solo nel 2018.

Da parte sua, la Procura sostiene invece che in Comune si sarebbero dati da fare perché non ci fossero altri concorrenti. Si vedrà. Giovedì 12 settembre toccherà, per la terza volta, all’assessore Boraso rispondere alle domande dei pm. Domani all’imprenditore Fabrizio Ormenese, accusato dalla Procura di aver mediato in molti affari privati e strumentalizzazioni della funzione pubblica che la Procura contesta a Boraso.

L’accusa ha anche proposto ricorso contro la decisione della gip Benedetta Vitolo di negare l’arresto dell’imprenditore Marco Rossini, richiesto dalla Procura.