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Tagliati gli alberi bruciati al Lisert: il bosco carsico torna indietro di un secolo

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MONFALCONE Deforestare il Carso da tutti i tronchi tramutati in tizzoni ardenti nel fine settimana a cavallo tra agosto e settembre, la 48 ore di ecatombe per il pino nero – un migliaio di esemplari che stavano lì da almeno 40 anni – fa piangere il cuore.

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Soprattutto fa fare al landscape bisiaco un passo indietro di oltre un secolo, quando a causa del conflitto bellico le colline erano brulle, annerite, senza vita. Ma è un’operazione, quella della pulizia degli alberi incendiati e pure di quelli che magari sono ancora in piedi, ma a causa della prossimità a temperature elevatissime hanno visto irreparabilmente compromesso il loro apparato vegetale, imprescindibile.

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Non solo per la vicinanza a tratti della circolazione extraurbana trafficati da migliaia di vetture al giorno, come lo svincolo dell’A4 o la Strada regionale 14, e dunque per ragioni di sicurezza, ma anche per evitare che il materiale inerte rimasto sul luogo dell’imponente rogo che ha devastato 40 ettari di terreno possa in qualche modo favorire o agevolare altri inneschi di fuoco. Tutto il legname asportato – centinaia e centinaia di fusti – sarà tecnicamente cippato, cioè macinato e tornerà a nuova vita, se così si può dire, nelle forme di pellet o biomassa per la produzione di energia elettrica. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, scomodando il postulato di Lavoisier.

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Per questo motivo dalla scorsa settimana sono al lavoro i boscaioli della Aluffi, ditta di Pocenia specializzata in simili operazioni. Gli addetti, a precisi turni, muniti di apposita attrezzatura e mezzi meccanici, stanno procedendo a quello che tecnicamente si chiama “esbosco”, l’asporto degli alberi “feriti”: di 410 metri cubi la massa recuperabile stimata, perlopiù pino nero.

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L’abbattimento, in questa prima fase tesa a liberare lo svincolo, si concluderà nell’odierna giornata, dopodiché scatterà la parte della cippatura. Entreranno quindi in gioco nei prossimi giorni, per le aree di competenza, Coseveg e Fvg Strade, entrambe chiamate alla verifica dei declivi di pietra. Le rocce che si sono mosse a causa delle elevate temperature o per la rimozione delle piante le cui radici davano sostegno al terreno, andranno sganciate e riposizionate lungo il costone, per la sicurezza dell’area e dei transiti.

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Quindi, con ogni probabilità la prossima settimana, s’interverrà sul delimitatore delle due corsie dello svincolo, andato per un discreto tratto liquefatto a causa dell’intenso calore scaturito dall’incendio. Mentre la ditta Aluffi proseguirà con il suo intervento sulle pendici fino all’altura della collina antistante Pneusystem, per proseguire poi verso la valletta, punto andato già bruciato nel 2022. Da sistemare anche, sempre a spese di Coseveg e Fvg Strade per le relative spettanze, tutta la parte inerente la segnaletica stradale verticale, pure andata distrutta con l’incendio. I cartelli dovranno essere acquistati ex novo. Poiché, come si intuisce, si tratta ancora di un bel po’ di lavoro da fare, l’ordinanza 407 che ha istituito già la scorsa settimana un divieto di circolazione su via Locovaz, con la chiusura dello svincolo in uscita dall’A4, protrarrà l’efficacia fino alla conclusione delle attività necessarie, pure a tutela di chi opera.

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La panoramica della situazione è stata resa ieri dal coordinatore della Protezione civile di Monfalcone Andrea Olivetti, che ha seguito le varie fasi dei soccorsi, con l’intervento di Vigili del fuoco e Guardia forestale, e quelle successive di bonifica e vigilanza attiva, onde evitare il rintuzzarsi di focolai, cosa avvenuta nelle 48 ore successive allo spegnimento del fuoco, sul sentiero Cai 83. L’incendio ha smascherato anche l’inciviltà dei frequentatori del Carso, che tra i cespugli, nel tempo, hanno lasciato ogni sorta d’immondizia, perfino apparecchi radio. Olivetti conferma: «Con le associazioni doveremo organizzare più di una giornata di raccolta per rimuovere tutto». Quanto al danno arboreo «siamo tornati all’epoca del conflitto mondiale, tabula rasa: la mia generazione non vedrà più alberi come quelli andati in cenere, forse capiterà a chi nasce ora, tra 40-50 anni». Un lutto dilatato nel tempo.

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