«Questione di ore» ma sono passati 70 giorni e l’assassino di Vincenza Saracino a Treviso non ha un nome
Sono settanta giorni che Vincenza Saracino è stata brutalmente uccisa. Settanta giorni che manca il nome di un responsabile, giorni in cui i dubbi continuano a coesistere a fianco della richiesta di verità da parte dei familiari.
La scomparsa
Era il primo pomeriggio di mercoledì 3 luglio, quando è stata diramata la nota della Prefettura con la richiesta di divulgare un messaggio importante: «È scomparsa una donna, il suo nome è Vincenza Saracino, l’ultima volta che è stata vista erano le 17.30 e si trovava nei pressi del supermercato Iperlando di Preganziol». Poche ore più tardi, sul far della sera, in un casolare abbandonato di via Maleviste a Canizzano è stato ritrovato un cadavere di una donna. È quello di Vincenza Saracino.
È dal momento del ritrovamento di quel corpo, senza vita da almeno 24 ore, martoriato all’altezza della gola da cinque coltellate, di cui una letale, sono scattate le indagini.
Il ritrovamento
Il corpo della donna è stato ritrovato lungo il muro di cinta del magazzino dismesso, distante qualche centinaia di metri dalla casa in cui Vincenza abitava insieme alla sua famiglia. Vicino a lei la borsetta ancora intatta, al suo interno erano presenti il portafoglio e il cellulare, mentre qualche metro più in là è stata ritrovata la bicicletta abbandonata per terra.
I primi rilievi effettuati dal nucleo investigativo sulla vittima e sulla modalità in cui l’assassino ha compiuto il suo gesto, portano a credere che Vincenza conoscesse il suo assassino. Con ogni probabilità avevano un appuntamento proprio in quel posto poco frequentato, abbastanza vicino a casa ma lontano da occhi indiscreti.
Tutte le domande rimaste senza risposta
Secondo un’amica, quel giorno la donna era particolarmente di fretta. Doveva correre da chi poco dopo avrebbe infierito su di lei senza pietà? Vincenza frequentava gli stessi locali del suo assassino? Dove si sono conosciuti perché si erano conosciuti?
Ancora, sul corpo della donna non è stato rinvenuto nessun segno di violenza, eppure secondo indiscrezioni la donna deve aver provato a lottare contro il suo assassino: aveva un’unghia spezzata. Se così fosse, perché non ci sono risposte dal Dna ritrovato proprio tra le sue mani?
Il 17 luglio scorso, poi, sono arrivati in città i Ris, la loro missione è quella di analizzare il telaio della bicicletta su cui si è spostata Vincenza: impronte digitali, ma anche tracce biologiche sia sulla bicicletta, sia sugli indumenti che la donna indossava il giorno in cui è stata uccisa. Cosa hanno prodotto i risultati? E, soprattutto, le tracce ematiche e biologiche ritrovate sulla bicicletta coincidono con quelle trovate sotto l’unghia della donna?
Gli inquirenti hanno poi analizzato il telefono della donne, le chat e le conversazioni che aveva intrattenuto nell’ultimo periodo. Cosa è emerso dalla messaggistica? Qualcuno la stava minacciando? Ha forse visto qualcosa che non doveva vedere?
Infine, il movente: è stata immediatamente esclusa la pista del delitto passionale e anche quella di una connessione con la sua vita professionale (Vincenza lavorava al sexy shop De Sade di proprietà del marito). Ma allora chi può aver voluto la morte di questa donna benvoluta da tutti? Saranno gli inquirenti a chiarire e a dipanare i dubbi. Così hanno promesso alla famiglia quel lontano 3 luglio scorso.