La rabbia dei prof precari: «Contavo nel ruolo, ma i posti sono andati ai concorsi del Pnrr»
«Prof, ma lei ci sarà il prossimo anno?» Anna Acoleo, di Castelfranco Veneto, docente di musica alle scuole medie, ha perso il conto delle volte in cui si è sentita porre questa domanda dai suoi studenti.
Una punta di speranza nella voce, una domanda che diventa la conferma di essere stata apprezzata ma, al tempo stesso, una domanda che apre una voragine. Perché la prof non sa che rispondere, può solo dire «vedremo che succederà» e azzardare uno «speriamo».
Tra qualche giorno ricomincerà la scuola: rivedrà i suoi alunni, a Quinto di Treviso?
«No, quest’anno sono stata assegnata a una scuola diversa, alle medie di Cornuda, dove farò solo nove ore di supplenza».
Sperava in un esito diverso?
«Sì, ho fatto il concorso nel 2020, uno dei più selettivi, ed ero 23^ su 180. In Veneto i posti disponibili quest’anno erano 14 e considerando che lo scorrimento delle graduatorie nel 2023 aveva interessato i primi 15, pensavo di rientrare nelle immissioni in ruolo».
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E invece?
«E invece il Ministro ha deciso di accantonare i posti per i concorsi del Pnrr e noi siamo rimasti fuori».
Dal 2020 a oggi sono cambiate diverse cose, a livello normativo: l’abilitazione da 24 cfu (crediti formativi universitari per insegnare) è passata a 60, in prima fascia non accedono più solo i vincitori di concorso ma anche i neo laureati con l’abilitazione. E il Pnrr si mangia i posti per il ruolo. Si senti scavalcata?
«Sicuramente. Si tratta, alla fine, di una questione prettamente economica: l’Italia riceve i soldi solo se fa i concorsi entro una certa data e noi, che già li abbiamo sostenuti, veniamo scavalcati da chi arriva dopo».
Una questione economica anche la modifica dell’abilitazione, con il percorso a pagamento?
«Assolutamente, è una mercificazione dell’abilitazione all’insegnamento. Si pagano due, tremila euro per i 60 cfu e si entra subito in prima fascia con il rischio, comunque , di restare precari».
Quando inizia la sua storia nel mondo della scuola?
«Relativamente di recente, dopo la pandemia. Ho sempre fatto l’architetta, continuando a coltivare la mia passione per la musica, poi ho fondato la mia scuola Crescendo in musica, a Castelfranco. Con il Covid ho deciso di buttarmi nella scuola».
E da lì ha avuto inizio il precariato.
«Ho fatto subito il concorso, dopo aver conseguito i 24 cfu dell’abilitazione. E da quel momento ogni fine estate l’ho passato con l’ansia per la chiamata in ruolo, che non arriva, e per la nomina della supplenza».
Si è pentita della sua scelta?
«No, ogni esperienza è un arricchimento. Accolgo tutto ciò che faccio, mi ci tuffo».
Ma si aspettava di trovare un percorso così tortuoso?
«Decisamente no! La scuola pubblica non è gratificante perché non ti dà la possibilità di investire sul tuo futuro, di creare un percorso».
Alla luce di tutto, è convinta di restare nella scuola?
«Mi do tempo ancora un anno: se anche il prossimo va male e mi passano avanti tutti anche nelle supplenze, mollo tutto. Non posso permettermi di andare a 100 km di distanza, potevo avere il ruolo a 10-20 km da casa».