Crisi del cinema italiano e tax credit. I film in perdita sono la norma?
di Alessia de Antoniis
È in sala con Finché notte non ci separi, con Pilar Fogliati e Filippo Scicchitano, e alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia con Labirinti, presentato ieri alle Giornate degli Autori. Lui è Francesco Cimpanelli, produttore per Life Cinema e a Venezia parliamo del film Labirinti, di cinema e di tax credit. Labirinti è un film che gli sta particolarmente a cuore.
Labirinti è un film particolare – racconta Francesco Cimpanelli – sconfina nel documentario. È girato in Calabria, in un paesino in provincia di Vibo. Il regista Giulio Donato ha trascorso qui tutte le estati della sua vita; da qui viene la sua famiglia. Ho conosciuto Giulio tramite il casting director di Labirinti, Massimo Appolloni, lo stesso di Sorrentino. Giulio era partito con un progetto spericolato, con l’idea di fare un cinema quasi amatoriale. Gli interpreti, a parte Antonio Gerardi, sono presi per le strade del paese. Un film totalmente autoprodotto e autofinanziato, realizzato investendo i suoi guadagni da aiuto regista, perché lui nasce come aiuto regista di Abel Ferrara.
Poi Giulio ha avuto bisogno di un supporto professionale per le riprese, il montaggio e la postproduzione; perché il film è anche innervato di VFX e effetti speciali. E sono entrato nel progetto. È un film particolare. Si tratta di un film veramente indipendente. Alle spalle non c’è niente di istituzionale se non un piccolo contributo che ha preso come opera di ricerca e formazione, finanziamenti che col nuovo decreto non esistono più.
È un film personale e autoriale. Un prodotto unico che abbiamo fatto rischiando. Ma ci abbiamo creduto fino in fondo.
Due frasi sono ormai un mantra: “il cinema italiano è in crisi” e “non ci sono più i nuovi Garrone e Sorrentino”. Entrambi hanno debuttato un quarto di secolo fa. Ai festival i giovani ci sono, anche le opere prime e seconde. Ma dopo i festival, cosa accade a questi film? Si produce per i festival invece che per la sala?
È un discorso ampio. Produciamo questi film per formare i registi del futuro; ricevono fondi di ricerca e formazione e non hanno l’obbligo di uscire in sala. La vera difficoltà di un film è quella di avere i mezzi distributivi per arrivare al suo pubblico. L’anomalia italiana è il costo di questi film. Labirinti è un esempio sano, perché è un film a micro budget e un’operazione produttiva sostenibile. Spesso si entra in percorsi produttivi sovradimensionati per film che già sulla carta, con uno sguardo esperto, si sa che non avranno un ritorno economico.
Il discorso da fare riguarda tante sfere, tra cui il tax credit. C’è stato un rimodellamento del quadro normativo, però diciamo che la precedente stesura agevolava extracosti e percorsi poco sani. Si è cercato di mettere un freno che, in linea generale, mi trova favorevole. Si sono fatti troppi film che non sono usciti. Ora si dovrà ragionare con i decreti attuativi. Siamo davanti a un periodo di transizione, ma l’industria cinematografica troverà un equilibrio. I film si faranno. Sono molto positivo sulla situazione del cinema italiano. Indubbiamente il mecenate di questi prodotti resta lo Stato. Il punto è che questo tipo di film deve costare poco.
Tra i film usciti in sala nel 2023, l’unico che ha guadagnato il triplo di quello che è costato è quello della Cortellesi. Gli altri sono in perdita. Alcuni pesantemente. Stessa cosa per il 2024. In un mercato non drogato dai finanziamenti pubblici, dalle film commission, dal tax credit, questa azienda avrebbe chiuso. Se analizzo i costi di produzione, dove si è perso il controllo e dove si può ridurre? E perché io privato dovrei investire in questo mercato?
Un mercato sano va considerato non sul singolo film, ma su un piano di produzione pluriennale.
Il film della Cortellesi ha aiutato a ripianare tanti debiti, ma è stata una vincita alla lotteria…
Sì, la Cortellesi, ma anche Zalone prima, Benvenuti al Sud, Benvenuti, al Nord, i film che richiamano il pubblico. Dove si può ridurre i costi? In America, ad esempio, il ruolo dello Stato viene sostituito dalle banche, quindi il produttore a tutti gli effetti è un imprenditore. Questo in Italia non accade: scontare un contratto in banca è una cosa molto complicata ed è un aspetto di cui non parla nessuno. Perché il mercato cinematografico è visto poco come industria e molto come mecenatismo artistico.
In Italia qualsiasi regista al quale proponi una sceneggiatura non scritta da lui, ti dice: no, io faccio le cose mie; anche se non ha la maturità per scrivere una sceneggiatura. Questo all’estero non avviene. Credo che Scorsese abbia scritto la prima sceneggiatura meno di dieci anni fa. Spielberg non scrive le sceneggiature.
Poi c’è il ruolo delle piattaforme, perché questi film non guadagnano in sala, dove se non va in perdita è già un miracolo, ma con i diritti SVOD.
Le piattaforme sono una realtà che, secondo me, va ancora regolamentata adeguatamente. Tutti, compreso il Ministero, si concentrano sulle tipologie di film. Ci dovremmo concentrare anche sulle tipologie delle produzioni. I grossi gruppi stanno comprando il nostro ecosistema produttivo e i veri indipendenti sono rimasti in pochi. Fare un film con una piattaforma, significa che tu sei a tutti gli effetti un produttore esecutivo. Non possiedi i diritti di quello che vai a produrre, è tutto loro.
E siccome l’incasso è legato al costo del film, le piattaforme, in questo ultimo periodo, stanno acquistando meno prodotto italiano. E questo è un altro dato rilevante.
Per Labirinti abbiamo già un accordo con una piattaforma che tratta film autoriali, ma per rendere sano un film come Labirinti, per tornare alla domanda, dobbiamo farlo costare poco.
Lavorare con le piattaforme, quanto è utile in termini di sinergie e quanto è limitante e, proprio per le acquisizioni fatte sul mercato italiano, quanto rischiamo di diventare un service?
Ho avuto un’esperienza con il film La Svolta, che è un original Netflix distribuito in tutto il mondo. Mi sono trovato molto bene con loro, sia a livello di produzione che distributivo. Sicuramente il problema esiste. La Svolta l’abbiamo prodotto con Rai Cinema e dopo è stato acquistato da Netflix, il che ci ha consentito di fare il nostro film liberamente.
Mi auguro che con questo nuovo periodo che si sta per inaugurare, aumentino gli investimenti delle piattaforme per l’acquisto di cinema italiano. Mai come oggi, che lo Stato richiede accordi di questo tipo con le piattaforme, c’è bisogno di un aiuto anche da parte loro per non arrestare il sistema.
I guadagni dei film arrivano dalla piattaforma, quindi è normale che le piattaforme abbiano un ruolo essenziale. Che la gente sempre meno va al cinema è un dato di fatto. Se il pubblico fruisce il film da casa è giusto che il film monetizzi con i diritti SVOD.
Le piattaforme hanno due meriti: hanno destrutturato lo star system, o presunto tale, che c’era in Italia fino a prima del loro avvento. Hanno prodotti di punta, dove investono milioni, ma non hanno paura ad affidarsi anche ad attori emergenti. E questo si sta spostando lentamente al nostro cinema.
Perché hanno già la distribuzione assicurata?
Sì, ma soprattutto puntano sulle storie. Per loro è molto importante la storia, e dopo arrivano la regia e il cast. Ovviamente questo non vale con Sorrentino. Però è il modus operandi americano, a mio avviso molto sano. L’altra cosa sana è quella che i prodotti, l’ho visto con La Svolta, vengono visti in tutto il mondo.
Questo porta a un’idea di collaborazione tra i Paesi: se il mio film viene fruito in Italia come in Francia, è più facile ipotizzare coproduzioni. Questo è un grande merito delle piattaforme e io credo molto nelle coproduzioni per il futuro, anche per rendere sostenibili economicamente i progetti.
Il nuovo Tax Credit chiede che il film sia distribuito da una delle prime 20 società di distribuzione. Parasite è stato distribuito da Academy Two: non è tra le prime 20. Come Fandango e Lucky Red. Tutte realtà escluse da questa versione del Tax Credit…
E le prime 5 sono gruppi stranieri che distribuiscono prodotti stranieri… confido nei decreti attuativi…
Il decreto parla di “film difficili” e tranne Zalone, in Italia, tanti sono film difficili…
Erano i finanziamenti alle opere di ricerca e formazione: adesso è stato sostituito da questi film difficili che, più o meno, hanno le stesse prerogative, quindi non devi uscire in sala ma devi fare un festival.
Ma i festival devono essere quelli elencati dal Ministero o non accedi al tax credit…
Si sta lavorando per ampliarla e sono fiducioso che i decreti attuativi risolveranno i nodi rimasti insoluti. Noi cerchiamo di fare prodotti con un costo ragionevole e questo è un impegno importante da parte della nostra casa di produzione. Labirinti è un film a micro budget; però abbiamo fatto Finché notte non ci separi e La svolta, con un occhio alla spesa, cercando di fare film piccoli, di qualità, che raccontino storie, che abbiano una voce da far arrivare. Non trovo sano fare opere prime che costano cifre assurde e che poi non incassano.
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