Tragedia sulla Marmolada, gli esperti: «Salivano in libera, anomalo che si fossero legati»
Legati durante l’ascesa dello zoccolo della Don Chisciotte. «Una cosa un po’ anomala», dicono gli esperti di montagna: «Forse volevano essere già pronti, una volta arrivati al momento di attaccare le parti più impegnative di quella via, quelle con gli agganci alle soste. Di solito gli alpinisti esperti si comportano così».
Il mondo dell’alpinismo sta cercando un perché alla tragedia costata la vita a Filippo Zanin e Francesco Favilli, i due manager trevigiani precipitati dalla parete Sud della Marmolada. E si cerca quella risposta che spieghi quel che è accaduto, sapendo che per questo dramma non ci sono testimoni: solo Favilli e Zanin potevano conoscere la causa che li ha fatti precipitare per una cinquantina di metri nel vuoto.
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Nell’ambiente, pur comprendendo che i due alpinisti abbiano affrontato quel tratto di arrampicata in “libera”, molti si chiedono perché si siano legati l’uno con l’altro, pur salendo senza agganci o soste alla parete: un particolare che li ha esposti entrambi a un eventuale errore o a un malore improvviso di uno dei due.
Parlando in generale (e non del caso specifico), «ci sono situazioni in cui si va in libera», spiega Mario Brunello, vice capo delegazione del Soccorso alpino, «ma si sale incordati l’uno con l’altro, magari per essere già pronti a partire quando la via si fa più impegnativa e ci si deve ancorare».
«La Don Chisciotte ha questo zoccolo relativamente semplice da affrontare», aveva spiegato anche Dante Del Bon, il rifugista del Falier che aveva seguito col binocolo i due alpinisti nelle prime ore della loro impresa, «e in molti lo affrontano in libera».
«Ci sono situazioni in cui le difficoltà iniziali sono basse e i più esperti avanzano così», rimarca Brunello. «Qui però non è facile capire esattamente cosa sia successo: magari una scarica di sassi li ha investiti, oppure uno dei due è scivolato e ha trascinato giù anche il compagno. Fatto sta che erano quasi arrivati alla sosta, quando dev’essere accaduto l’imponderabile».
Nessun testimone della tragedia, dicevamo. Il fatto che l’incidente sia avvenuto nel primo tratto è una supposizione derivante dal fatto che negli imbraghi dei due alpinisti non sono rimasti impigliati agganci, chiodi o soste, almeno da quel che hanno potuto vedere i soccorritori.
Se è vero che non avevano addosso sicurezze, rinvii o moschettoni, significa che non si erano ancora assicurati a una “sosta” e dunque sono precipitati da quello zoccolo della Don Chisciotte che stavano affrontando “in libera”.
Se non fossero stati legati fra loro, probabilmente uno dei due alpinisti si sarebbe potuto salvare? È un’ipotesi tutt’altro che peregrina.
«Esistono salite di tipo alpinistico che iniziano subito con difficoltà, utilizzando ancoraggi già presenti o protezioni veloci», si limitano a dire altri alpinisti. «Ma ci sono anche alcune vie che, a seconda del contesto morfologico, hanno parti iniziali, i cosiddetti zoccoli, con difficoltà modeste che non superano il terzo grado, dove solitamente si procede in libera, slegati oppure in conserva».
Quest’ultimo è appunto il caso della Parete d’argento della Marmolada. E chi l’ha salita vede una anomalia nel fatto che i due trevigiani siano andati su legati l’uno all’altro, senza protezioni sulla roccia.
Una tragedia che comunque non troverà una spiegazione certa, lasciando spazio solo al dolore e alle supposizioni: là su quella parete d’argento, infatti, c’erano solo loro due, Francesco e Filippo.
«Ve ne siete andati in silenzio. Troppo presto. Troppo dolore», piangono gli amici in rete, il giorno dopo la tragedia.