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Сентябрь
2024

La nuova Juventus e l'eredità di Andrea Agnelli (il ripudiato)

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Sono passati 650 giorni dall’addio. Due anni che saranno compiuti il prossimo 28 novembre eppure Andrea Agnelli, oggi lontanissimo dalla Juventus fisicamente, essendosi trasferito in Olanda, come nella narrazione di cosa è diventato il club, non è mai stato così presente nelle sue strategie. Una traccia silente eppure visibilissima. La giustizia ordinaria dirà cosa è stato giusto e cosa sbagliato nella gestione dell’ultimo triennio della sua epoca juventina. Quella sportiva si è già espressa, mettendolo al bando ma anche esponendosi al rischio di una riscrittura delle sue norme e dei suoi principi, visto che della legittimità della sua squalifica dovrà esprimersi la Corte di Giustizia dell’Unione Europea e dal Lussemburgo negli ultimi tempi sono arrivati colpi di maglio potentissimi alla struttura attuale dell’ordinamento sportivo.

Quello che è certo, però, è che senza le visioni di Andrea Agnelli oggi non esisterebbe la rifondazione firmata da Cristiano Giuntoli. Il paradosso è che tutto sta avvenendo “uccidendo” tutti i simboli agnelliani: la guerra alla Uefa per la Superlega, ripudiata, il rientro nell’Eca di Al Khelaifi, i dirigenti allontanati uno alla volta, l’addio a quanto restava della vecchia guardia e, non ultimo, l’eutanasia prima silenziosa e poi deflagrante del rapporto con Massimiliano Allegri. Era rimasto l’estremo baluardo delle strategie di Agnelli. Forse il meno funzionale, di sicuro il più esposto ai venti della critica.

La nuova Juventus, però, vive delle visioni del presidente dei nove scudetti di fila. Della scelta di investire, politicamente e con il portafoglio, nell’avventura della seconda squadra. Doveva portare metà dei giocatori della rosa bianconera a provenire da lì, nella testa di chi nel 2018 l’ha creata dal nulla: non è ancora così, ma senza quell’intuizione Giuntoli non avrebbe certamente potuto mettere in campo il mercato da 200 milioni di euro che è la linfa dei sogni di accorciare il percorso verso il ritorno alla vittoria.

Chi si è preso la briga di sommare cessione a cessione di talenti passati dalla Next Gen è arrivato alla mirabolante cifra di 91 milioni di euro. Un tesoro autentico, riversato sui campioni pronti all’uso che il Motta-ball dovrà rapidamente rendere vincenti oltre che arrapanti esteticamente. Soulé, Huijsen, Kean. Iling-Junior, Barrenechea, De Winter e Kaio Jorge: tutti sacrificati sull’altare dei conti, per liberare risorse da destinare al mercato. E poi Yildiz, consacrato con la ‘10’ che fu di Del Piero. E Mbangula con Savona, le scoperte dell’ultimo istante. Oppure Fagioli rimesso al centro del campo. Miretti mandato in prestito ma che tornerà. Tutta la nuova Juventus è innervata della visione di Andrea Agnelli e della testardaggine di andare avanti malgrado l’assenza delle altre e i costi a lungo a fondo perduto.

Ora la Juventus studia la costruzione di una casa per la Next Gen e per la squadra femminile. Progetto già accarezzato nel decennio precedente, quando a mancare erano stati i presupposti mentre il club veniva dotato di infrastrutture al passo con i top d’Europa. Unica in Italia. Una dimensione ora assente in campo, ma impressa nei conti e nel dna di una società che ha solo bisogno di rimettersi a correre.

Andrea Agnelli non è mai stato così lontano dalla Juventus, all’apparenza. Fuori dalla festa per i cento anni della Famiglia, quasi reietto, cancellato dai manager insediati alla Continassa, assente allo Stadium. Come non fosse mai esistito. Un errore di prospettiva perché le radici dello sviluppo di oggi sono ben salde nelle scelte di ieri. Anche quelle rinnegate. La sintesi è che AA è stato un grande presidente della Juventus, nonostante il finale. O, forse, anche in quello perché la parabola discendente è iniziata nel momento in cui ha immaginato per la sua creatura il salto in una diversa dimensione. Ronaldo il simbolo. Poi è arrivato il Covid ed è calato il sipario. Ma questo non poteva prevederlo nessuno.

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