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Nel portafoglio dell’assassino di Sharon riferimenti all’omicidio di Osaige

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In quel pezzo di carta ci sono poche parole, tracciate a penna, appunti veloci che però bastano a far sbarrare gli occhi ai carabinieri che stanno svuotando il portafoglio di Moussa Sangare.

Sono riferimenti all’omicidio di Victoria Osagie, la 35enne uccisa nel gennaio del 2021, a Concordia Sagittaria. Assassinata dal marito ubriaco, in casa propria, davanti ai figli, Osagie sembra avere poco in comune con Sharon Verzeni, la 33enne vittima della violenza di Sangare, che l’ha intercettata tra le vie di Terno d’Isola, nel Bergamasco.

È comunque una nota che rimanda a un delitto, trovata addosso a un altro omicida; i militari ne chiedono conto proprio a lui, e allora è lo stesso 29enne a tracciare i paralleli del caso, alcuni più raggelanti di altri: «Ero interessato a questa notizia, guardo tanti polizieschi: non è tutta fantasia quella dei polizieschi, guardo anche programmi sulle storie vere. Sono interessato ai casi dove l’assassino utilizza dei coltelli: è difficile tirare col coltello, devi guardare quante volte gira».

E poi, ancora, il nome: il marito di Victoria Osagie, che l’ha uccisa a pugnalate, si chiama Moses, proprio come «il mio soprannome, che ce l’ho da sempre, da quando mi hanno detto che significa Mosé».

L’arma del delitto, il nome, troppo poco per parlare di un caso fotocopia, abbastanza per credere di intravedere qualcosa dello schema che ha mosso il giovane nigeriano, che davanti ai magistrati ha confessato ogni cosa, anzi si è spinto oltre: ha descritto l’omicidio, fendente dopo fendente («L’ho seguita da dietro, l’ho toccata con la mano sulla spalla e le ho detto “scusa per quello che sta per accadere”.

Lei ha tolto le cuffiette quando si è sentita toccare, ha sentito la frase. Sono sceso dalla bici, l’ho rincorsa e l’ho colpita alla schiena più volte, tre o quattro»), ma ha anche parlato di film che l’hanno colpito(Upgrade, Prometheus), del «feeling già avvertito in passato, ma mai così forte», di come ha «seguito quell’onda, senza sapere dove andava».

Un quadro che pare patologico, in cui in effetti la terribile vicenda di Concordia potrebbe davvero aver fornito un modello, una spinta in più, in cui ogni similitudine può essere pretesto sufficiente.

Ma ridurre Sangare a un caso psichiatrico potrebbe essere una semplificazione troppo frettolosa, secondo gli investigatori: il 29enne ha anche ammesso tutti gli accorgimenti presi per non lasciare tracce, la sua attenzione nel tenere il volto nascosto quando incrocia un’auto, dopo l’omicidio, la fretta nel disfarsi dell’arma «tra i campi»; prima ancora l’aver evitato «zone troppo aperte e con le telecamere», la precauzione di non portarsi via il computer dell’uomo rapinato in auto perché «poteva essere tracciato», il non aver aggredito chi «sembrava abbastanza grosso».

E allora anche quell’appunto sul caso di Concordia potrebbe non essere un’ispirazione, piuttosto l’esito di una prima esplorazione online, a omicidio già compiuto: fino a pochi giorni fa Google riportava a Osagie quando si digitava “Moses omicidio coltello”. Sangare non si è sbilanciato, quando gli hanno domandato il momento in cui ha steso quella nota si è fatto vago: «Non so», unica incertezza in una narrazione incredibilmente dettagliata.