Crisi del mercato, flop delle elettriche, costi alle stelle. L’idea nuova: fare le auto semplici che servono
Con gli annunci di possibili chiusure di stabilimenti Volkswagen in Germania, stante la crisi delle vendite di nuove automobili e il crollo delle preferenze per le vetture elettriche, al posto di ritenere necessari altri interventi dei governi per supportare con nuovi incentivi il settore, lanciamo una provocazione semiseria: e se chiedessimo ai costruttori di fare le automobili come ci servono veramente? Perché il paradosso è che la politica europea, che dovrebbe essere espressione della volontà popolare, quindi di avere auto meno inquinanti a costi accettabili, ha invece imposto ai costruttori di realizzare modelli che nessuno vuole. E siccome nell’industria non si butta via nulla, ecco il festival del riciclo delle piattaforme ma anche dei motori e di tanti componenti, ormai identici su troppi modelli. Risultato: vetture troppo uguali, noiose da guidare e costosissime.
La chiamano ottimizzazione, ma chi lavora dentro il settore metalmeccanico si è accorto da tempo che figure come i “casual manager” si sono ormai moltiplicate in ogni comparto. Un tempo per fondare un’azienda servivano un’idea, un capannone, un ragioniere e una segretaria. Oggi invece ci vuole il “program manager”, il “project manager”, il “product engineer”, il “financial manager”, il “marketing manager” e ancora non abbiamo tirato una riga sul monitor né stretto una vite. Altro che far lievitare i costi, come diceva un professore all’università: “impossibile fare utile se nelle aziende il numero di persone che lavora è inferiore di quello di chi conta”. Quanto poi al marketing, decide praticamente tutto, dai colori disponibili all’odore dei tessuti interni, purché “resti nel budget”. Il risultato sono con automobili firmate da stilisti che dentro devono “far percepire” un’idea che poi non è la realtà. C’è il “family feeling”, comune a più modelli della stessa casa, c’è lo “home feeling”, che dovrebbe farci pensare d’essere nel nostro salotto, c’è lo “sport feeling”, che con una pellicola adesiva stampata con la trama del carbonio ti fa sentire come su una macchina sportiva seria, invece, il cruscotto è di plastica anche se costa come tre auto nuove nel decennio precedente.
Non basta mettere la parola “cross” davanti o dietro un nome per rendere una vettura un fuoristrada, e credetemi, non a tutti piace avere uno schermo televisivo davanti agli occhi senza averlo mai chiesto. Ma chi l’ha detto che l’infotainment debba essere così invasivo e che i bambini debbano guardare i film mentre si è in viaggio. Insegniamogli a guardare fuori, ad aprire i finestrini e a sentire l’aria! Ridateci la ruota di scorta e, soprattutto, il freno a mano meccanico perché quello elettrico è vera perversione.
Sia chiaro, siamo felici per la maggiore sicurezza dei mezzi, ma nessun sistema “adas” impedirà mai un utilizzo sciagurato e irresponsabile dell’autovettura, la guida autonoma arriverà ma tutta questa fretta di abbandonare il volante non c’è. Perché guidare è ancora bello nonostante i dossi, i velox, i ciclisti connessi con le cuffiette che pedalano contromano e i monopattini senza luci che da dietro la curva mettono alla prova i nostri riflessi. Dopo i cruscotti, la strada è diventata essa stessa un videogioco, ci sono vetture che non hanno più le luci di posizione ma un’insegna luminosa larga due metri che disorienta e luci diurne eccessive che infastidiscono, sembrano robot usciti dai cartoni animati giapponesi degli anni Settanta.
Ormai l’ideologia green ha scatenato una guerra tra chi l’auto la deve usare e i politici benpensanti che si chiedono perché la gente ami i suv con ruote alte, ma sono gli stessi che in consiglio comunale hanno votato il rialzo i marciapiedi e fatto costruire ostacoli mortali per i motociclisti. I nostri borghi storici non sono il Texas e neppure il Wyoming, le auto di oggi saranno anche grandi vetture ibride, ma non passano tra i muri stretti dei paesi. Le piccole fuoristrada sono estinte, la Panda è diventata Pandino ma senza 4x4, e la Jimny Suzuki, arrivata con il motore meno adatto al mercato italiano che ci potesse essere, ha dovuto diventare autocarro a due posti per potere essere venduta senza pagare multe. Ma con Alpi e Appennini erano le uniche “off road” che ci servivano.
Le vere utilitarie sul mercato un tempo erano decine di modelli e oggi nemmeno dieci; si continuano a sfruttare nomi del passato che hanno trasformato vetture in icone, e non si riesce a imporre con successo alcun modello dal nome innovativo. Non parliamo poi della scarsa fantasia di chi battezza i modelli con lettere e numeri. Che auto hai? Una A3 e tu? C4… affondata! I libretti delle istruzioni sono diventate guide per deficienti tradotte dall’intelligenza artificiale in venti lingue; un tempo ci trovavi come sostituire una lampadina e regolare l’accensione, oggi la raccomandazione di non bere il liquido refrigerante.
Ecco, allora, che finiti gli incentivi il mercato è calato del 13,4% rispetto allo stesso mese del 2023 e non è soltanto questione di ferie, e secondo l’Unrae, rispetto al 2019 bisogna recuperare un abbondante 18%. Dopo un incremento dovuto ai soldi pubblici del 118%, le elettriche sprofondano del 36,1% segnando una percentuale sul mercato che è passata dal 5% al 3,8% in un anno. Disastro, sono pessimi persino i dati delle vendite di vetture a gas metano e a Gpl (quasi -96% e -7%). Per invertire la rotta ci vorranno tempo, soldi ma soprattutto un cambio di mentalità a proposito dell’automobile, che deve tornare un bene concreto, senza fuffa, fondamentale per l’economia.